70 anni di pittura dalla realtà alla trasparenza
Un’analisi dell’opera di De Simone è un lavoro assai doveroso in quanto si mette in luce un artista la cui figura, nonostante i tanti riconoscimenti da parte di estimatori, collezionisti e persone di cultura, attende ancora un nuovo e meritato apprezzamento.
Certamente un lavoro di accurata valorizzazione del suo operato non parte affatto da zero. Numerosi sono infatti i contributi critici, anche di penna autorevole, che contribuiscono a delineare una vasta attenzione che De Simone ha saputo suscitare, ultima in ordine cronologico, la giusta critica redatta da Raffaele De Grada.
Nato a Palazzolo Milanese nel 1921 ha frequentato il Liceo Artistico di Brera con i maestri Francesco De Rocchi, Ottaviano Steffenini e Ugo Vittore Bartolini. Esordisce come pittore in mostra personale nel 1945 a Milano.
Non è mai stato un autodidatta anzi, ha studiato il disegno nelle migliori scuole. Del resto la pratica del segno necessita di avere un lento apprendistato e il sentimento innato del colore deve acquisire consapevolezza anche attraverso la conoscenza lessicale del disegno, che solo la scuola può dare. La mente che guida la mano deve essere messa nelle condizioni di costruire un volume e una prospettiva, di misurare lo spazio e di contenerlo nelle dimensioni della tela. Il disegno ha dunque fatto parte della sua formazione; anche quello tecnico in quanto De Simone è architetto di professione. In pittura De Simone non ha l’abitudine di preparare la tela con il disegno, interviene direttamente con il pennello, ma è evidente che la forma è già preesistente, elaborata mentalmente, mentre il colore è l’atto finale della creazione. Artista acculturato e attento, tutt’altro che isolato, De Simone resta però sostanzialmente un solitario, incline a trovare la propria genuina e congeniale cifra stilistica in un continuo, generoso, pletorico, tonale ed esclusivo esercizio della pittura al fine di raggiungere una “sua ricerca” che è ricerca d’arte ma anche ricerca morale, sulle ragioni del proprio essere nel mondo.
E’ sufficiente sfogliare questo catalogo per capire che la lirica più pura pulsa nelle pagine pittoriche di De Simone, la visione assume i toni sereni di paesaggi nitidi, velati da una vena romantica e dal riverbero della nostalgia. L’immagine è quella di un mondo che segue l’ordine ritmato dell’infinito, dove le assenza tonali sono ricordi di partenze avvenute e di viaggi già compiuti. Talvolta i suoi paesaggi sono la sinfonia di una musica composta per l’inquietudine dell’uomo nel suo perenne desiderio di evasione. Sono paesaggi gonfi di tristezza, che la sola luce cerca di dare un senso al continuo, incontrollato vagare di emozioni.
Ecco che il termine “luce” ci porta ad analizzare più a fondo l’arte italiana dei primi decenni del Novecento che ha visto esperienze note con il nome di Futurismo o Corrente oppure Chiarismo. Noi ci soffermeremo solo su quest’ultima esperienza artistica. Che cos’è il Chiarismo? E’ stato una direzione di ricerca che si è definita a Milano verso il 1930 e ha avuto il suo culmine fra il 1932 e il 1934, intorno al critico Edoardo Persico, pur proseguendo fino alla fine del decennio e oltre. Il nome, per la verità, nasce nel 1935. Lo conia Leonardo Borgese, che parla di una pittura chiara e appunto di un “chiarismo”, di cui vede i massimi rappresentanti in Del Bon e De Rocchi. Il termine verrà ripreso dallo scrittore Guido Piovene, che nel 1939 definisce Lilloni “uno dei più importanti pittori chiaristi, cioè di
pittura di soli colori chiari”. Insieme al Gruppo dei Sei i Chiaristi ebbero come effetto quello di contrapporre ai presupposti stilistici del Novecento una vicenda pittorica più schietta e libera, preferendo alla pesantezza formale dei novecentisti, alla loro cupezza chiaroscurale, una maggiore aderenza alla verità quotidiana della natura e dell’uomo. Studiando l’opera dei chiaristi indubbiamente De Simone ha imparato a comunicare un senso di delicatezza e di momentaneità, sia quando rappresenta incerte figure e cose, sia quando rappresenta apparizioni trasognate. E la leggerezza del disegno non è che l’emblema della vulnerabilità di tutto ciò che esiste. La luce che pervade i suoi lavori non è quella solare, abbagliante, che suggerisce gioia di vivere, ma una luce pallida, introversa. Attenzione però: De Simone ha studiato i grandi maestri del passato, come ha studiato il Chiarismo, così come è stato attento e vigile ad altri artisti amati senza aderire mai però a nessun movimento in specifico, attingendo ugualmente e anzi vantaggiosamente alle sole esperienze intuitive personali, badando alla propria libertà. Ha incamerato e poi ha scelto proprio il confronto diretto con la sua arte, con il vero, con la natura. Non solo. Ha scelto di percorrere quella strada pericolosa che attraversa i campi minati della bellezza. Senza temere le insidie del pittoresco. Sfidandole, anzi, quando ossessionato dalla ricerca di un effetto: le velature di una natura morta o il riflesso del tramonto veneziano. E ha saputo perseguire questo suo obiettivo poetico, pur con grande virtuosismo, senza tradire la possibilità della pittura: sfruttando appieno, anzi, le valenze di un linguaggio che ha nell’approssimazione del segno, nell’indeterminabile valore evocativo del colore e soprattutto della luce, la forza della sua persuasione, la sua capacità di muovere il cuore. Perché fragile reperto della commozione di un uomo.
Ma entriamo un po’ di più nello specifico: analizziamo per esempio l’opera di copertina, una Venezia, città tanto cara al maestro: l’opera rivive fragranti accenti di poesia, talvolta con idillico abbandono, tal’altra con acceso impulso a seconda dello stato d’animo con cui la si osserva. Qui De Simone ha avuto il dono di scoprire con felicità anche gli aspetti più disadorni e umili della natura e dei panorami d’ogni giorno, in un richiamo di intima, snebbiata concentrazione di atmosfere psicologiche. E’ un’immagine lieve e gentile, che pure trova sempre la sua consistenza in un impasto tanto commosso quanto tenace e compatto.
Ma il paesaggio non è l’unico tema trattato da De Simone: molti sono infatti i lavori legati alla figura. I suoi volti, anche i più celebri che toccano il cuore, oltre che l’occhio e l’intelletto. Le sue sono infatti figure che, con la loro variazione, continuamente ripresa e quasi accelerata, accrescono la nostra conoscenza delle forme e della natura, dei colori reali e di quelli immaginai e in qualche modo aumentano la nostra libertà rispetto alla limitazione del mondo sensibile.
In merito a tale tema quasi tutti i critici, di nota fama, che hanno trattato l’opera di De Simone, hanno trovato analogie tra il suo operare e l’arte del quattrocento. Indubbiamente studiare tale periodo artistico ha suggerito al pittore milanese temi figurativi, sagome diafane stagliate su superfici di toni dilavanti e quasi galleggianti sulla traccia sbiadita del tempo. Nel riconsiderarli analizzando l’intera opera stilistica, i volti, le immagini di De Simone hanno il sapore di tenui sinopie annuncianti i pensieri che l’artista ha poi sviluppato raccogliendo nel suo laboratorio il lessico fantastico e insieme ironicamente allusivo a persone e fatti della vita quotidiana, in un amalgama che appunto ammette la convivenza di nobili modelli del passato, vivaci istantanee dell’oggi, impreviste apparizioni di oggetti spaesati.
In sintesi si può affermare che una nebbia ovattata, una luce bianca avvolge le sue figure e fa impallidire i colori, fondendoli in una monocromia reticente. L’immagine acquista così una dimensione fiabesca, dove le apparizioni più quotidiane sono rivissute in una dimensione di meraviglia infantile.
Stupore commosso, contentezza ansiosa e intimidita, malinconia davanti all’attimo fuggente, sono i sentimenti che animano tutte le sue opere. Per De Simone fondere la sua vita all’arte è davvero il modo per esprimere se stesso. Opere che diventano anche il diario di un’esistenza e se certamente è azzardato stabilire riferimenti diretti tra l’evoluzione stilistica e la vita di un artista, è però consentito immaginare relazioni tanto intime quanto inconsapevoli, conseguenze interiori e indirette del rapporto tra le varie circostanze del percorso umano e le oscillazioni del suo percorso espressivo.
Tesio C. Pietro De Simone. 70 anni di pittura dalla realtà alla trasparenza. Paderno Dugnano: 2011.