Alfredo Pasolino
È abbastanza sorprendente l’effetto: hai l’impressione di essere precipitato nel grande buio splendente. Su una figurazione destinata ad agire dinamicamente nello spazio che scandisce l’essenza di un linguaggio simbolista-concreto, per fissare un luogo della memoria, una tensione emotiva in dialogo di un’arte-azione, già nodo di raccordo tra il nucleo dell’essere e la compagine dimensionale nell’ambito dell’antropologia globale teorizzata nel figurativo cosmico.
Pino Santoro vive su un medium trasparente, la pittura, mai legata in maniera narcisistica alla propria identità, né votata a secernere un’immagine di sé, ma teso ad assolvere pienamente alla funzione, volutamente di eliminare la suddivisione tra spettatore e spazio scenico, con attento interesse alla vibrazione della luce. Solo emozionalmente come gioco e dramma delle tensioni psico-emotive dell’autore. Uno specchio acceso in una stanza buia, per ispirarsi usa l’esperienza estatica. Un viaggio a ritroso nel tempo della memoria, del sogno del segno e del simbolo, l’avventura di un tuffo nella felicità attesa, per estraniarsi dal mondo reale, troppo distante dalla sua sensibilità, attraverso felici espressioni dell’immagine, dove ambiente e segreta identità dell’uomo si identificano.