Angelo Dragone

ANGELO DRAGONE nato a Torino nel 1921, è stato una figura di primo piano come studioso dell'Ottocento piemontese. Giornalista professionista dal 1957, dal '59 collabora con il quotidiano "La Stampa". Muore a Torino nel 2004. ------------------------------------------------------Critica di ANGELO DRAGONE-------------------------------Fra tradizione e innovazione - Tutta calata fra tradizione e innovazione, l?attività del pittore e incisore Pio Carlo Barola ? nato il 7 marzo 1956 a San Giovanni Rotondo (in una famiglia piemontese devota al Beato Frate di Pietralcina), ma da sempre, poi, residente a Casale Monferrato ? a trent?anni giusti dal suo esordio documentato da alcuni coloratissimi dipinti a vernici, si offre oggi in un?ampia retrospettiva, prestandosi ad una sorta di utile bilancio; quasi per una verifica della tenuta del linguaggio tendente essenzialmente a certe sue forme simbolistiche e a qualche sognata allegoria. I suoi paesaggi fantasticati, come le erbe e le quinte alberate, gli scorci delle strade con le loro chiese e i palazzi antichi al pari dei ben costruiti nudi di donna o delle nature morte, rivelano infatti, in buona sostanza, le più suggestive e coerenti loro forme cifrate. Anche per questo non è facile definire la sua pittura che è quella d?un mondo raffigurativo vagamente aggiornato nell?esibizione di immagini, ed insieme di forme linguistiche che aspirano a tradursi in stile, passando dalle vivaci colorazioni di certi ?Pesci? tropicali al drammatico gioco chiaroscurale che sottolinea in senso ottico la sensualità dei corpi dalle semplificate, flessuose, anatomie femminili. Aveva maturato la propria formazione didattica a Torino frequentandovi il II Liceo Artistico ?Renato Cottini? (in cui nel ?75 conseguì la Maturità) e il corso di Pittura tenuto da Piero Martina nell?Accademia Albertina di Belle Arti, dove si diplomò nell?80 con una tesi di Storia dell?Arte su ?La pittura di Albino Galvano?. Ancora nel ?97, presso l?Istituto Albe Steiner, conseguì un diploma in ?Arte della fotografia e Grafica Pubblicitaria? mentre, dopo l?Abilitazione, fin dal 1982, potè darsi all?insegnamento di ?Discipline Pittoriche? e di ?Educazione Artistica? in vari istituti soprattutto del Casalese. Di fatto Barola s?era soprattutto immesso in quel circuito che gli avrebbe procurato stima e amicizia da parte di giovani colleghi e numerosi suoi Maestri, da Francesco Tabusso e da Mauro Chessa a Francesco Casorati, da Romano Campagnoli a Marco Gastini, ma curioso anche dei ?giochi di grafico?, a loro modo astratti, di Fernando Bibollet (che sarebbe stato anche singolare maestro di ?dizione? e non solo dispensatore di ?segreti alchemici, simboli, misure, temi?) che l?avrebbe ricordato ?nel suo silenzio, sognatore e lavoratore implacabile?. Da parte sua , fin dal 1980, per la prima mostra personale di Barola, Albino Galvano aveva tenuto a rendergli testimonianza scrivendo: ?L?inno alla vita e alla libera espansione ch?egli persegue con tanto accanimento e che rappresenta con simboli elementari, ma efficaci, con metafore scevre di ambiguità nella loro immediata evidenza visiva ci dice che in lui passione ideale e polemica contestatrice tendono sempre più a calarsi in una padronanza piena di mezzi pittorici?. Sul versante creativo, dunque, Pio Carlo, forte d?una evidente inclinazione naturale era partito dalle forti pitture a vernice dell?esordio ? con Lucerna e arancia, Chiesa dopo la pioggia, Fante ? dipinti con la ?gioia tenace? (riconosciutagli da Bibollet), ma con le prime Veneri, con Oggetti sul tavolo e le Teste di cavallo fin dal ?72 quei larghi tasselli colorati, soprattutto in bruno e azzurro, costituiscono un?allusione diretta ai problemi di ?luce e ombra? destinati a fornirgli una sorta di figurale ordito pittorico sul quale intervenire. La donna come una fronda verde o un ramo secco, un occhio che piange o il Cristo che si stacca dalla croce per cogliere un fiore (1973) al pari della Testa-ingranaggio d?un ?uomo-macchina? (Autolesionismo) danno l?immediato senso allegorico della sua produzione, come la farfalla-simbolo-di-libertà, o l?anfora da intendersi come l?immagine della maternità. Tutto questo ha poi una precisa portata nella pittura di Barola, offrendo d?altra parte una sorta di equivalente anche nei linoleum incisi con un segno forte, destinato alla stampa in bianco e nero, tra pieni e vuoti, la carta e le figurazioni inchiostrate, che nell?88 gli valsero l?invito alla rassegna di Carpi dedicata all?incisione xilografica. Ma, sia pur raramente, concedendosi anche in questo campo l?uso di una gamma di colori caldi cui nel ?90, Enzo Di Martino non aveva mancato di riconoscere ?una vera e propria funzione alchemica? trasformando l?immagine ?in qualcosa di -altro- e conferendole anzi un valore persino simbolico?. Di qui i numerosi ?fiori/donna? e le variazioni sul tema dello specchio, ma anche quel tempestivo suo recepire i problemi della vita quotidiana (come nel Cristo dei drogati, del 1980, ultimo suo anno d?Accademia), mentre fondendo espressione e decorazione in Monferrato la figura della donna con grappolo d?uva tenuto in mano, lasciando sul fondo come un?antica mappa geografica quasi ridisegnata dai capelli su un piano colloquiale che spiega anche l?interesse suscitato dalla pittura di Barola con il corsivo suo disegno e l?eccitata cromia che dà spessore e luce alle figure dalle spalle scoperte o dall?ampio seno nudo che s?erge, come un fiore sul calice, stretto in vita dalla cintura dei Blue jeans (1987). Dell?anno prima è il San Girolamo in cui il pittore aveva rivisitato il capolavoro del Caravaggio di modo che nell?evocare la figura del Santo, cui s?era dovuta la traduzione in latino dell?Antico Testamento. L?aveva ritratto accanto al Crocefisso, ad un teschio e al candeliere intesi anche come simboli della sua meditazione e sacra ispirazione cui Barola non ha esitato ad aggiungere, con estrema naturalezza (ed escludendo quindi ogni irrisione), quali simboli del nostro tempo, non più la clessidra, ma l?orologio con la tazzina di caffè e il pacchetto di sigarette quasi per far sentire, in una sorta di scherzosa riflessione sulla Storia, l?attualità di un testo e di quel Santo che diventa, così, nostro contemporaneo. E Renzo Guasco, da parte sua, era quindi portato a mettere in evidenza come, anche nel conversare, il pittore lasciasse affiorare lo spirito vivo di un filosofo e, forse, d?un mistico. In questa stessa prospettiva va poi colta anche la coerenza dei suoi approfondimenti e delle nuove metafore che s?accompagnano ai contenuti visivi della sua ricerca espressiva, nello studiato raccostamento della sua città come alla Riviera Ligure, da Rapallo ad Alassio, dove riaffronta ogni volta la Riflessione sul mare iniziata nell?87 con l?invasione dei nuovi suoi azzurri. Si spiega anche meglio, quindi, il filo delle sue esperienze grafiche, con un passaggio dal rigore del bianco e nero dei primi linoleum ? che si muovono quasi come elementi astratti a sé stanti, che conservano però ? e lo si legge in un?osservazione di Remo Wolf, che ne scrisse nel 1996 ? il valore di segnali tradizionalmente figurativi, per una più rapida comprensione dei soggetti presi a prestito?. Allo stesso modo la pittura rimane come ?sostanza prima? e l?incisione, allora, come ?derivata?, il suo realismo ?documentato con eleganza?, ma travolto dal sinuoso fluire di una linea luminosa in cui si specchiano insieme quasi il tormento d?un pensiero partecipe della coscienza e il continuo incalzare della vita umana come esperienza del quotidiano, nel flusso d?uno scorrere, lento ma continuo, delle stagioni e dei colori del paesaggio ? la terra e il mare, il gelso e la ninfea ? ma che può leggersi anche nel segreto di un volto umano.