Renzo Guasco
Ho passato recentemente un pomeriggio con Pio Carlo Barola. Mi ha portato la fotocopia di un mio articolo del 1973 in cui parlavo di alcuni suoi lavori esposti in una mostra collettiva di lavoratori e studenti. Barola aveva allora diciassette anni. Da allora ci siamo incontrati parecchie volte, quasi sempre in occasione di inaugurazioni di mostre, ma io non avevo più seguito con attenzione il suo lavoro.
Quello che mi ha colpito parlando con lui e vedendo le fotografie delle opere dipinte in questi tredici anni e i dipinti e le incisioni scelti per questa mostra è la coerenza del suo lavoro. Le opere qui esposte sono degli ultimi tre anni, 1983 ? ?86, ma non contraddicono le ricerche precedenti; ne sono in certo modo la ricapitolazione. Se non temessi di violare il suo riserbo parlerei soprattutto delle sue qualità umane. I soggetti dei quadri, i titoli, le rivelano a chi sa guardare con attenzione.
Mi dice Barola che ha sempre voluto evitare ogni definizione della sua pittura. Chi ha scritto su di lui ha parlato di simbolismo, io direi piuttosto che si tratta di allegorie. Mi limito a citare qualcuna delle opere esposte, quelle che mi sembrano più significative. Lacrime amare del 1983. Cinque volti di vecchie, stravolti dal dolore, solcati da rughe profonde. I colori preferiti sono ancora quelli dei suoi primi quadri, i bruni e gli azzurri. I segni ondeggianti sono gli stessi che ritroviamo nelle incisioni su linoleum. Più che dipingere con il pennello sembra intagliare con il bulino.
Del 1984 sono La corsa della vita e Paesi troppo lontani. L?uomo che corre ha la maglia rossa, unica eccezione nella sua scelta cromatica. Un uomo anziano, con il cappello, appoggiato al bastone, osserva con distacco il giovane che corre. In Paesi troppo lontani tre ragazzini negri, animali al pascolo, un albero senza foglie, un cielo tumultuoso.
I vecchi farfalloni del 1985 è quasi il rovescio di Lacrime amare. Là volti di vecchie disfatte dalle fatiche e dai dolori, qui quattro uomini dai volti soddisfatti, quasi sorridenti. Tutti hanno posata sulla spalla una farfalla rossa. La farfalla la ritroviamo in molti dipinti e incisioni di Barola, quasi come una sigla di riconoscimento.
Del 1986 è San Girolamo, dal Caravaggio. Sul tavolo del Santo, che tradusse in latino l?Antico Testamento dai testi originali, accanto al Crocifisso, al teschio e al candeliere, stanno due simboli della nostra vita di oggi, la tazza del caffè e il pacchetto delle sigarette. Girolamo al polso ha l?orologio. Non si tratta di un pastiche, di un divertissement, ma, sotto l?aspetto scherzoso, di una riflessione sulla storia. San Girolamo è un nostro contemporaneo. Ho accennato alle qualità umane di Barola. Sotto l?apparente semplicità della sua conversazione avverti il filosofo e, forse, il mistico.
Albino Galvano nel 1980, presentando una mostra di Barola, scriveva che egli ?punta più sui contenuti che sulla forma, subordina i mezzi e lo stile a quanto intende comunicare. Simboli e allegorie dominano i suoi quadri?? ??l?inno alla vita e alla sua libera espansione ch?egli persegue con tanto accanimento e che rappresenta con simboli elementari ma efficaci, con metafore scevre di ambiguità nella loro immediata evidenza visiva, ci dice che in lui passione ideale e polemica contestatrice tendono sempre più a calarsi in una padronanza piena di mezzi pittorici?.
Non si potrebbe dire meglio. I lavori qui esposti, dipinti in questi ultimi tre anni, dimostrano come la coerenza del linguaggio, dalle prime prove ad oggi, non significhi stasi e ripetizione, ma approfondimento, sia tecnico che concettuale. Ammiro la coerenza di Barola in anni in cui nessun pittore, giovane o anziano, sembra più sicuro delle sue scelte ed è pronto a mutare linguaggio ad ogni soffio delle mode.
La sua è una scelta morale, non solo artistica; è una scelta di vita.
Torino, novembre 1986