Al Madre la "mostra dell'anno". I reperti di Pompei dialogano con opere di Warhol e Le Corbusier
Napoli - Un contenitore pieno di uova conservate nell’argilla, datato I secolo d.C, le caratteristiche biodinamiche di una domus pompeiana, esplorate dai disegni di Le Corbusier, e ancora la presenza del Vesuvio, fuoco e fiamme, dal guizzo a colori di Warhol, alle “drammatiche” vedute di Pierre-Jacques Volaire o al vulcano placido e assorto, ammansito dalle tinte tenui di Gioacchino Toma.
Pompei@Madre. Materia Archeologica, visitabile fino al 24 settembre 2018, è una mostra unica, nella quale - come ha spiegato anche il ministro dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, Dario Franceschini, durante la presentazione alla stampa di quella che ha definito “la mostra più importante dell’anno” - «il mondo antico si intreccia con quello contemporaneo, in un dialogo che è anche la grande sfida di questo Paese».
Il percorso espositivo - un affascinante incontro tra materiali archeologici di provenienza pompeiana poco conosciuti e raramente esposti, e opere di arte moderna e contemporanea - nasce dall’inedita collaborazione tra il Parco Archeologico di Pompei e il Madre, museo regionale campano di arte contemporanea. Massimo Osanna, direttore generale del Parco Archeologico, e Andrea Viliani, suo omologo al museo di via Settembrini, sono i curatori di questo progetto che si articola in due capitoli. Il primo, che avrà luogo dal 19 novembre al 30 aprile, e il secondo, intitolato Le Collezioni, in programma dal 19 novembre al 24 settembre.
In questa affascinante prossimità fra archeologia e contemporaneo, le pietre che recano memoria delle antiche sculture, i frammenti dei contenitori da trasporto risalenti al I secolo d.C, bombardati nel settembre del 1943, i lapilli dell’eruzione del Vesuvio, suggeriscono i contorni mobili di una rigenerazione permanente che, nella meccanica classica trova conferma nella legge fisica della conservazione della massa, in quel principio del “nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma” che è anche il fulcro della mostra. Prima di divenire una scultura, ogni opera è stata una pietra, così come ogni affresco è stato polvere di colore tratto da conchiglie, frutti, radici o fonti minerali.
Compiendo il suo percorso, concepito come una passeggiata circolare fra opere, manufatti, documenti e strumenti connessi alla storia delle varie campagne di scavo a Pompei, il visitatore ha modo di entrare nello straordinario laboratorio della città distrutta dall'eruzione del Vesuvio nel 79 d.C, ma che, nonostante tutto, ha conservato traccia di una civiltà straordinariamente resiliente. Come testimonia il mosaico con cornice a onde marine che racchiude un’ancora tra due figure di nuotatori e due delfini, databile intorno al I secolo d.C, solo per citare una delle tante opere in mostra.
Accanto a questi resti del passato si inserisce l’arte contemporanea, con opere e documenti moderni e contemporanei provenienti da diversi musei, fondazioni e biblioteche, dal Museo Archeologico Nazionale di Napoli al Museo e Real Bosco di Capodimonte, dalla Casa di Goethe alla Fondation Le Corbusier, oltre che da importanti collezioni private italiane e internazionali. Tutte testimonianze che hanno continuato a rivendicare, a partire dalla riscoperta del sito pompeiano, nel XVII secolo, il valore e l’ispirazione contemporanei della “materia archeologica” pompeiana, fungendo da catalizzatore fra spazi, tempi e culture differenti.
Musica, letteratura, cinema, teatro, ma anche storiografia, fisica e antropologia si intrecciano in un’esperienza totale, che racconta la storia di una “materia”, rivelando la reciproca implicazione fra materiali originari e opere d’arte risultanti, fra iconografie, tematiche e concetti che tornano ad affiorare nella storia della cultura e dell’arte.
Da Le Corbusier a Freud, da Robert Rauschenberg a Ettore Sottsass, passando per i lavori di Anish Kapoor, Kounellis, Mimmo Paladino e Giulio Paolini, sono circa 90 gli artisti, ma anche i poeti e gli intellettuali - tra questi François-René de Chateaubriand, Johann Wolfgang Goethe e Madame de Staël – che, con le loro “presenze”, compongono questa gigantesca e spettacolare macchina del tempo.
E se la sala cosparsa di fango di Richard Long suggerisce la necessità quotidiana di un rapporto con la materia viva di una cucina (culina), le capuzzelle - i teschi del Cimitero delle Fontanelle di Napoli - di Rebecca Horn, con la loro storia di vanitas e memento mori folklorici, incrociano alcune columelle pompeiane - cippi tombali distribuiti intorno ai grandi monumenti funerari extra moenia, sui quali veniva ricordato il nome del defunto - riportando in superficie un culto degli antenati che si approfondisce ulteriormente nella dimensione sotterranea, ctonia, del buco nero nel pavimento di Anish Kapoor.
La sala di Mimmo Paladino sembra custodire, invece, l’immoto fremito del calco che avvolge un padre con il suo bambino, due dei tanti “dormienti” dell’antica Pompei.
Un gioco di rimandi, allusioni, coincidenze che risvegliano l’antichità, rendendola materia viva, rinvigorita dal contemporaneo.
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