Capodimonte immaginato: carta bianca a 10 ‘curatori’ illustri
Carta Bianca – Imaginaire. A Capodimonte fino al 17 giugno in mostra l’allestimento ideale pensato da 10 illustri nomi.
Imaginaire, è il titolo della mostra allestita nelle sale del Museo di Capodimonte di Napoli, fino al 17 giugno 2018, una esposizione “immaginata” come una celebrazione del museo contemporaneo, una percezione degli spazi e del tempo plurivoca, dove si racconta la Storia dell’Arte seguendo una logica, un criterio, dando “carta bianca” a “dieci ideali visitatori”, intellettuali, artisti, collezionisti e imprenditori, ognuno con una diversa sensibilità e formazione, dieci sale in cui ogni “curatore” ne ha allestita una con l’unico obbligo di argomentare la loro scelta.
Un compito arduo affidato a Vittorio Sgarbi, critico e collezionista d’arte, Marc Fumaroli, storico e saggista, Paolo Pejrone, architetto e paesaggista, Gianfranco D’Amato, industriale e collezionista, Laura Bossi Régnier, neurologa e storica della scienza, Giulio Paolini, artista, Giuliana Bruno, professore di Visual and Environmental Studies alla Harvard University, Mariella Pandolfi, professore di Antropologia all’Université de Montréal, Riccardo Muti, direttore d’orchestra e Francesco Vezzoli, artista.
La prima sala è curata da Vittorio Sgarbi, critico d’arte, ed è un intreccio della sua biografia con la collezione di Capodimonte, un percorso che egli stesso definisce: “interessato, presuntuoso e vanitoso”, pregevoli sono le opere “Ritratto del vescovo Bernardo de’Rossi” di Lorenzo Lotto e “Ritratto di Galeazzo Sanvitale” del Parmigianino.
La seconda sala è curata da Marc Fumaroli, storico, un dualismo emerge tra le diverse opere, opulenza e povertà, aristocrazia e popolo, alla raffinatezza e eleganza delle tele di Bernardo Cavallino, “Santa Caterina in estasi” e “Negazione di San Pietro” si contrappone il naturalismo del “San Sebastiano” di Jusepe De Ribera e la pittura popolare di derivazione caravaggesca, “Strage degli Innocenti” di Massimo Stanzione.
La terza sala curata da Paolo Pejrone, architetto, è incentrata sul tema del paesaggio, notevole la tela “Paesaggio con Egeria” di Claude Lorrain, insieme ad altre vedute di paesaggio, “Caccia reale nel bosco della Ficuzza” di Salvatore Fergola e “Festa di Flora” di Nicolas Didier-Boguet, particolare è la “finestra” che proietta il visitatore verso il parco del Real Bosco che circonda il museo, un invito all’osservatore ad ammirare non solo i dipinti antichi, ma anche il paesaggio contemporaneo.
Sul rapporto tra uomo e animale è la tematica affrontata da Laura Bossi Régnier, neurologa, ponendo spunti di riflessione sull’ambiguità, sull’interpretazione dell’individuo rispetto alla fauna, vicina ma al tempo stesso lontana, le collezioni di Capodimonte offrono numerosi occasioni iconografiche, dalla incisione “Caccia alla scimmia” di Giovanni Stradano, ad “Arrigo peloso, Pietro matto e Amon Nano” di Agostino Carracci.
Attinge dai depositi del museo la sala allestita da Giuliana Bruno, docente universitario, concepita e strutturata come una narrazione, una archeologia culturale che riscopre opere e manufatti connessi agli oggetti della quotidianità, un esempio sono le opere “Natura morta con testa di caprone” di Giovan Battista Recco, “Interno di cucina” di Gian Domenico Valentino e “Natura morta con vaso di fiori e cesta di frutta” attribuita a Nicola Malinconico.
Sulla dimensione della temporalità come dissonanza, sul tempo indefinito dell’evento, queste tematiche sono il fulcro della sala curata da Mariella Pandolfi, antropologa, che sceglie le opere, “La strage degli Innocenti” di Matteo di Giovanni, “Perseo e la Medusa” di Luca Giordano e “Rinaldo e Armida” di Annibale Carracci, dipinti antichi caratterizzati da scene di lotta o di tensione amorosa che raccontano altre storie oltre a quello del tempo lineare della Storia o del Mito. Un allestimento che ospita in maniera disordinata una serie di spade, coltelli, armi e armature per evocare il tema della dissonanza e della discontinuità.
Una sola opera è stata scelta da Riccardo Muti, direttore d’orchestra, la “Crocifissione” di Masaccio, scegliendo un allestimento scenografico quasi “sacrale”, in cui domina il buio e si “ascolta” il silenzio. La “Crocifissione” aveva folgorato il Maestro, è un invito all’osservatore alla contemplazione, come egli stesso dichiara:” La figura che sgomenta di più è questa irruzione della Maddalena. Sembra veramente che nella staticità della Madonna e di Giovanni e del corpo ormai crollato di Cristo questa figura entri furiosamente, imperiosamente nel quadro. Sembra appartenere ad un mondo completamente diverso, al mondo dell’amore, al mondo della passione, anche in un certo modo della passione fisica perché innanzitutto i colori che Masaccio affida alla Maddalena sono in fortissimo contrasto con le altre due figure e con Cristo stesso ovviamente. La Maddalena ha un mantello rosso fuoco ed è insolitamente biondissima con capelli sciolti e sembra provenire proprio dal mondo della passione, verso Cristo, verso il Dio, verso l’uomo. E con le braccia completamente aperte come per voler abbracciare il Cristo morente”.
Cenni di contemporaneità sono visibili nella sala curata dall’imprenditore Gianfranco D’Amato, una commistione fra arte antica e contemporanea che focalizza l’attenzione sull’aspetto emotivo dell’essere umano, il piacere e l’amore, ma anche l’odio e la violenza, e infine, l’importanza della cultura e della conoscenza, il “San Girolamo nello studio” di Colantonio e il dipinto “Giuditta e Oloferne” di Artemisia Gentileschi sono accostate all’opera “Transiti” di Mimmo Jodice e “Camera” di Carlo Alfano.
Sull’arte contemporanea sono allestite due sale, una da Giulio Paolini, esponente dell’arte concettuale e l’altra dall’artista Francesco Vezzoli. Il primo crea in occasione della mostra un’opera ad hoc che racchiude tutte le opere della collezione di Capodimonte: “Mi sono dunque volontariamente astenuto dallo scegliere quelle opere, numerose ed eccellenti, che potevano suggerire tanti imprevedibili ‘dialoghi’ tra buona parte di esse. Ho cioè osservato una sofferta rinuncia alla messa in scena di quel ‘museo personale’ che mi era stato consentito di realizzare per privilegiare invece un punto di vista teorico: formulare una sintesi assoluta, ancorché infondata e insostenibile di un’idea dell’arte”. Le opere scelte scelte sono “Contemplator enim” , incisione e pittura del 1940 e “Senza titolo”, (allestimento per l’esposizione Carta Bianca”).
Francesco Vezzoli traccia un percorso che comprende e articola i suoi recenti interventi scultorei e performativi. Dieci coppie di busti (di epoche e materiali diversi) si fronteggiano disposti in un corridoio, instaurando dialoghi basati sugli incroci degli sguardi, in un gioco di incontri impossibili. Aprono la sala un gesso del Canova che raffigura “Letizia Ramolino Bonaparte”, madre di Napoleone Bonaparte che osserva “Apollo e Marsia di Luca Giordano. Chiude il percorso un “Autoritratto come Apollo che uccide il satiro Marsia” di Vezzoli, un gruppo scultoreo che si ispira all’antico e al mito e genera un dissidio temporale fra artisti ed epoche diverse.
News pubblicata su: http://www.artslife.com/2018/02/21/carta-bianca-imaginaire-in-mostra-al-musdeo-capodimonte-fino-al-17-giugno/