Da Péladan ai Simbolisti, l’utopia di una rinascita morale in mostra a Venezia
Péladan ai Simbolisti, l’utopia di una rinascita morale. A Venezia una retrospettiva sul Salon de la Rose + Croix.
L’utopia di una rinascita morale, nell’Europa della fine dell’Ottocento. Curata da Vivien Greene, la prima retrospettiva dedicata al movimento teorizzato da Joséphin Péladan: Simbolismo mistico. Il Salon de la Rose + Croix a Parigi, 1892-1897, ripercorre l’avventura di una corrente mistica e visionaria insieme. Alla fondazione Guggenheim fino al 7 gennaio 2018.
Venezia. In quello scorcio di fine Ottocento la Belle Époque entrò in crisi, perché all’iniziale entusiasmo per la scienza e la tecnica che il Positivismo propugnava come le soluzioni definitive alle problematiche dell’umanità, seguì un sentimento d’angoscia dovuto all’irruzione xx della modernità, che aveva in pochi decenni sconvolto usci e costumi millenari. Le tecnologie militari avevano reso disponibili nuove armi con cui corroborare il nazionalismo degli Stati e aprire un clima di forte ostilità che avrebbe portato alla guerra mondiale nel 1914, passando prima per vari conflitti regionali, in particolare nei Balcani.
Un clima di grave incertezza pesava sugli animi di artisti, poeti e intellettuali, molti dei quali cercarono forme espressive e di pensiero che andasse oltre il naturalismo e il dato di realtà, per recuperare antiche tradizione religiose e filosofiche e tornare a indagare quella spiritualità dell’individuo che il “dèmone della modernità” sembrava aver smarrito.
Fra le esperienze più complesse che nacquero nel mondo dell’arte in reazione al Positivismo e al predominio della scienza e della tecnica, ci fu quella del Salon de la Rose + Croix ideato dal critico, teosofo e occultista francese Joseph (Joséphin) Péladan (1858-1918), il cui padre Louis Adrien (1815-1890) fu a sua volta cultore di scienze occulte, ma anche direttore della France littéraire, artistique, scientifique, nonché fondatore della Semaine religieuse de Lyon.
Antecedente al Salon, c’era stata la fondazione, da parte di Péladan, dell’ordine religioso-estetico della Rose-Croix direttamente ispirato alla setta segreta dei Rosacroce, della quale poco ci è noto ma che pare sia nata in Germania all’inizio del XVII Secolo, con lo scopo di perseguire il miglioramento morale e spirituale dell’individuo. Soprattutto nel Settecento, secolo della Massoneria, nacquero molte ramificazioni del movimento rosacrociano; una fu appunto quella di Péladan, che adottò il motto “ad rosam per crucem, ad crucem per rosam”, con questo intendendo come l’arte dovesse riacquistare il senso dell’ideale e la chiesa il senso della bellezza; in caso contrario, si sarebbe avviata verso una rapida decadenza.
Il Salon che ne derivò fu quindi la voce artistica di un movimento di pensiero che faceva dello studio dell’occulto e del sincretismo con le religioni orientali la chiave per un ritorno alla dimensione spirituale dell’umanità. Ideando il primo Salon, presso la Galerie Durand-Ruel nel 1892, Péladan voleva dar voce a quell’arte che fosse mistica, idealista, e dotata di forte senso estetico, e che avesse per soggetti le scene mitologiche, oniriche, allegoriche, o tratte dalla letteratura.
Qualunque legame diretto con la realtà era decisamente bandito, e lo stile che predomina è quello del Simbolismo esoterico, il quale confluirà più tardi all’interno della Secessione. L’apertura del Salon segnò un momento fondamentale nella storia dell’arte europea, sancendo il rifiuto del realismo per ripristinare il ruolo dell’artista come interprete soggettivo.
Quell’inaugurazione fu un successo, anche grazie alla sapiente opera promozionale di Péladan, che aveva condotta una massiccia campagna stampa, e ideato un allestimento mistico e suggestivo insieme, con i quadri esposti in una penombra cimiteriale profumata d’incenso. Se, come notò Albert Samain, le aspirazioni di quell’arte “erano irrealizzabili”, riconobbe però anche come la mostra contenesse molte riflessioni interessanti. E fino al 1897, si rinnovò questa esperienza di respiro europeo, aperta ad artisti francesi e non, in particolare tedeschi e austriaci. La mostra della Guggenheim, curata da Vivien Greene, ricostruisce quegli anni e, attraverso di essi, il clima d’angoscia che minava il sentire dell’epoca.
Attraverso le opere di Séon, Osbert, Béronneau, Schwabe, Toorop, si coglie la colta ricerca di quella grandiosità spirituale che rifulgeva nelle contemporanee arie di Richard Wagner (anch’egli frequentatore della mitologia germanica), pur nella differenza di stile: Béronneau opta per un Simbolismo puro, orrido e immaginifico; Orfeo che attraversa indenne l’Ade diviene metafora dell’Europa dell’epoca che stava incuneandosi in un vicolo altrettanto cieco, da cui non era dato sapere in quali condizioni vi sarebbe uscita.
Lo si sarebbe visto nel 1918. Più sobria e silenziosa la pittura di Séon, che la tema mitologico affianca un tratto pittorico decisamente accurato, che ricorda i Primitivi toscani; ma il poeta che giace sulla spiaggia non ha nessun legame con il XIX Secolo, è l’ombra di millenni lontani il cui lamento sembra dedicato all’irreversibilità del passato. Più mistico l’approccio di Henri Martin e Alphonse Osbert, che rimandano alle tradizione antiche di Santa Fina e Bernadette. A confermare l’eterogeneità stilistica del Simbolismo, l’adozione da parte di Martin di uno stile a metà fra il pointillisme e il Divisionismo, che aumenta la carica mistica e poetica della giovane persa nella contemplazione.
Nell’ampia panoramica proposta dalla Guggenheim, si respira un clima artistico “soprannaturale”, che rispecchia la tragedia morale dell’Europa di fine Ottocento, attraversata dal nazionalismo, l’antisemitismo, lo sradicamento della civiltà rurale. Anni di crisi morale, esattamente come quest’inizio di Terzo Millennio, con la differenza che l’arte non sembra più porsi la questione di un confronto o un recupero del passato, non tanto in chiave di stile, quanto di valori e ideali.
Anche se il Salon ebbe vita breve – appena sei edizioni dal 1892 al 1897 -, a causa delle difficoltà di finanziamento interamente sostenuto da Péladan, la sua eredità è importante perché ha anticipato la Secessione in Austria e Germania, e fece sentire agli artisti l’importanza di un’arte civile e filosofica insieme. Ideando il Salon, Péladan dette una patria ad artisti che pur gravitando nella stessa atmosfera, non avevano ancora avuta la possibilità di pensarsi come esponenti di una corrente organica, e anche se non riuscì a raccogliere l’adesione di pittori simbolisti quali Redon e Moreau, fece sentire agli artisti la necessità di reagire agli eventi, di interrogarsi sull’essenza dell’individuo, e probabilmente dal Salon scoccò la scintilla che portò alla Secessione.
Articolo pubblicato su: http://www.artslife.com/2017/12/21/da-peladan-ai-simbolisti-lutopia-di-una-rinascita-morale-in-mostra-a-venezia/