"Help the ocean". Dal Foro Romano l'appello dell'artista Cristina Finucci contro l'inquinamento
Roma - Tra i resti della Basilica Giulia, sei milioni di colorati tappini di plastica ingabbiati in una struttura che simula un ritrovamento archeologico, tracciano il grido d’allarme dell’artista Cristina Finucci sullo stato del nostro pianeta.
Soprattutto al tramonto, quando si accende di un rosso magnetico, la gigantesca scritta HELP genera, vista dall’alto e dai Fori Imperiali, un impatto forte.
Questo enigmatico impianto architettonico - allestito dal 9 giugno al 29 luglio - che richiama la sintassi costruttiva dell’architettura antica romana, ma sostituisce alla pietra, la plastica, è la richiesta di aiuto di un’intera epoca storica, la nostra, finalmente conscia del proprio avviato processo di autodistruzione.
Nel giorno in cui ricorre la giornata mondiale degli Oceani e in cui l’allarme lanciato dalle Nazioni Unite - “Se non cambiamo rotta negli oceani ci sarà presto più plastica che pesci" - suona come un disperato monito, anche l’arte si mobilita in uno dei luoghi più affascinanti e visitati di Roma.
“HELP è un grido d’allarme - commenta Maria Cristina Finucci – che non si limita alla pur importante questione ambientale, ma pone al centro l’individuo e l’intera vita sul pianeta, in cui l’ambiente è legato indissolubilmente alle risorse naturali, alla salute, all'alimentazione, alla povertà, alle disuguaglianze, ai diritti umani, alla pace. È passato ormai qualche anno da quando ho iniziato a guardare gli oggetti di plastica, ormai disseminati su tutta la superficie terrestre e ancor più nei mari, con gli occhi di un archeologo del futuro che probabilmente li considererà un giorno preziosi reperti, utili a raccontare la storia dell’età della plastica, l’epoca in cui viviamo. Questo ipotetico archeologo, che nella mia narrazione effettua il fortunato ritrovamento nel 4016 d.C, non riesce a classificare questi reperti perché diversi da quelli delle comuni discariche. Qui il materiale è organizzato ed omogeneo, non buttato alla rinfusa. Solo durante il suo viaggio di ritorno con la navicella spaziale, guardando dall’alto, riesce a leggere la parola HELP, un deliberato ed organizzato grido di aiuto della nostra civiltà”.
L’opera dell’artista fa infatti parte del ciclo, iniziato da Finucci nel 2013, dedicato al Stato Federale, il Garbage Patch State, il secondo Stato più vasto al mondo con i suoi 16 milioni di chilometri quadrati, che comprende le cinque principali “isole” di plastica presenti negli oceani. Il Garbage Patch State è quindi l’immagine concreta del disastro ambientale provocato dalla plastica dispersa negli oceani, secondo il linguaggio universale e trasversale dell’arte di Finucci, che ha così potuto rendere iconico un fenomeno che, per sua natura, non aveva ancora un’immagine.
Il rimando è riferito al concetto che dietro ad ogni oggetto gettato nell’ambiente ci sia una persona responsabile di questo gesto. Ed è per questo che per l'installazione - realizzata grazie al sostegno della Fondazione Bracco, del Gruppo Officine Maccaferri e di Enel - non è mai stata usata spazzatura, bensì i tappi di plastica riciclati da persone attente all’ambiente, e che, attraverso un laborioso e meticoloso lavoro, hanno formato il delicato “ricamo” che è la cifra stilistica di tutte le opere della serie Garbage Patch State.
“La nostra speranza - ha detto Alfonsina Russo, direttore del Parco archeologico del Colosseo - è che l’area archeologica più importante e visitata in Italia possa coinvolgere il pubblico nazionale e internazionale sul significato fondante della memoria del passato, conservata nel DNA degli ambienti e dei paesaggi, sia quelli naturali, sia quelli plasmati dall’uomo. Solo un uso corretto potrà garantire la conservazione del pianeta e quindi potrà dare un futuro al nostro passato”.
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