In Tunisia ricercatori italiani scoprono la città sommersa di Neapolis

È frutto della collaborazione tra archeologi italiani, tunisini e algerini la scoperta di un nuovo tesoro sul fondo del Mediterraneo.

Strade ed edifici di una città frequentata da Fenici, Romani e Cartaginesi giacciono tra le acque del Golfo di Hammamet. Una griglia di cardi e decumani, caratteristica dell’urbanistica romana, scandisce l’area di 20 ettari, che corrisponde perfettamente alla descrizione della colonia Iulia Neapolis fornita dalle fonti antiche.

Tra i ritrovamenti più caratteristici, un notevole numero di vasche per la lavorazione del pesce.

Neapolis era infatti sede della più grande manifattura conserviera del settore esistente tra il Mediterraneo e l’Atlantico, con un impianto in grado di contenere oltre un milione di litri. Qui sardine e piccoli tonni venivano salati e stivati in ancore di terracotta o usati per preparare il garum, il famoso intingolo bruno di cui i Romani erano ghiotti.

I recipienti venivano poi imbarcati nello stesso Neapolitanum Portum per raggiungere le principali città del Mare Nostrum, come testimonia il recente ritrovamento di una nave affondata nel II secolo, rinvenuta a 300 metri dall’attuale riva con tutto il suo carico di anfore.

Secondo gli archeologi, a portare la città negli abissi marini fu un violento terremoto verificatosi intorno alla metà del IV secolo, che tuttavia ne lasciò le strutture miracolosamente intatte.

L’esistenza della fiorente Neapolis sulle coste dell’attuale Tunisia era nota fin dal XIX secolo. Gli scavi condotti sulla terraferma negli anni Sessanta erano andati alla ricerca delle sue vestigia, riportando alla luce, tra le altre rovine, una preziosa domus mosaicata.

Ma una considerevole parte dell’insediamento mancava all’appello. Come hanno spiegato i professori Raimondo Zucca e Pier Giorgio Spanu dell’Università di Sassari e Mounir Fantar dell’Institut National du Patrimoine di Tunisi, più che una città l’area individuata è una sorta di zona industriale di Neapolis: un luogo strategico per la città, che trovava la sua ragion d’essere proprio nella lavorazione e nel commercio dei prodotti del mare.

Ulteriori ritrovamenti subacquei hanno permesso inoltre di identificare tra le rovine di terraferma quella che potrebbe essere la ventisettesima Piazza Forense romana – la quarta nel continente africano – con il suo tempio dedicato a Giove Capitolino, la sua Curia e la sua Basilica Giudiziaria.

La spedizione, finanziata dal Consorzio Uno per gli Studi Universitari di Oristano, fa parte del progetto intrapreso nel 2009 per riportare alla luce i resti dell’antico porto in seguito a una proposta del professor Zucca, già autore di indagini sulla Neapolis sarda situata nella parte meridionale del Golfo di Oristano.

Dopo la mappatura di strade, insulae e officine, nella seconda metà di agosto una spedizione di sismoarcheologi e geomorfologi subacquei approfondirà la ricerca indagando sul terremoto che causò l’inabissamento della città.

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