LOTTO, ARTEMISIA, GUERCINO. LE STANZE SEGRETE DI VITTORIO SGARBI
Dopo aver acquisito, dal 1976, 2800 titoli dei 3500 elencati da Julius von Schlosser nella sua La letteratura artistica, Vittorio Sgarbi capisce “che quadri e sculture potevano essere più convenienti e divertenti del libro più raro”.
Questa illuminazione scaturisce dall’incontro con Mario Lanfranchi, collezionista maestro perfetto, il primo dei tanti da lui incontrati dopo aver abbandonato il dogma universitario che lo aveva indotto a “guardare le opere d’arte come beni spiritualmente universali ma materialmente indisponibili”.
Così, dal 1983, incrociando il San Domenico di Niccolò dell’Arca, Sgarbi decide che non avrebbe “più acquistato ciò che era possibile trovare, di cui si poteva presumere l’esistenza, ma soltanto ciò di cui non si conosceva l’esistenza, per sua natura introvabile, anzi incercabile.” Come lui stesso afferma “la caccia ai quadri non ha regole, non ha obiettivi, non ha approdi, è imprevedibile. Non si trova quello che si cerca, si cerca quello che si trova. Talvolta molto oltre il desiderio e le aspettative”.
Da questo irrefrenabile impulso, strettamente connesso all’irrinunciabilità della bellezza e al profondo amore per la propria terra, da questo collezionismo “rapsodico, originale, che ambisce a rapporti esclusivi con le opere come persone viventi”, è sorta, incontro dopo incontro, una vera e propria summa dell’arte italiana, tra pittura e scultura, dal XIII secolo ai giorni nostri: un coltivato assortimento (e accanimento) che riflette la cultura ampia e multiforme di chi ha rintracciato, acquisito, studiato e in ultimo protetto i preziosi tasselli che lo compongono.
Come osserva il curatore della mostra Pietro Di Natale: “l’arte ha una funzione culturale, è autenticamente cultura animi, e per questo non è solo utile, ma anche necessaria nel percorso di ogni uomo. Una collezione d’arte privata è dunque la fondazione di un sistema simbolico, la creazione di una palestra per l’anima, un luogo dove si materializzano scelte intime, meditate e, talvolta, sofferte. Sovente si dimentica che la sua più alta vocazione sia quella di accogliere il pubblico, di offrirsi agli sguardi, di raccontare la propria storia”. Questo accadrà dunque, dal 23 dicembre 2016, alla Casa delle Regole di Cortina d’Ampezzo, dove saranno esposte oltre 100 opere, tra dipinti, disegni e sculture, dalla fine del Quattrocento alla fine dell’Ottocento.
La mostra, dedicata a Rina Cavallini, madre di Vittorio Sgarbi, vuole dar conto in primis della peculiare e complessa “geografia artistica” della nostra nazione; saranno rappresentate infatti le principali “scuole” italiane: lombarda (con le opere di Giovanni Agostino da Lodi, Pier Francesco Mazzucchelli detto il Morazzone, Francesco Maria Raineri detto lo Schivenoglia, Francesco Hayez), marchigiana (Johannes Hispanus, Nicola Filotesio detto Cola dell’Amatrice, Battista Franco detto Semolei, Giovanni Francesco Guerrieri detto il Fossombrone, Simone Cantarini detto il Pesarese, Andrea Lilio, Giovanni Battista Salvi detto il Sassoferrato, Sebastiano Ceccarini, Giovan Battista Nini, Francesco Podesti), veneta (Pietro Liberi, Johann Carl Loth, Simone Brentana, Enrico Merengo), ferrarese (Nicolò Pisano, Benvenuto Tisi detto il Garofalo, Giovanni Battista Benvenuti detto l’Ortolano, Sebastiano Filippi detto Bastianino), emiliana e romagnola (Francesco Marmitta, Ferraù Fenzoni, Giovanni Francesco Barbieri detto il Guercino, Matteo Loves, Guido Cagnacci, Anna Morandi Manzolini, Giacomo Zampa, Mauro Gandolfi), toscana (Giovanni Martinelli, Giacinto Gimignani, Pietro Paolini, Simone Pignoni, Alessandro Rosi, Onorio Marinari, Giuseppe Moriani, Pietro Balestra, Giovanni Duprè), romana (Giuseppe Cesari detto il Cavalier d’Arpino, Artemisia Gentileschi, Pseudo Caroselli, Bernardino Nocchi, Giuseppe Cades, Antonio Cavallucci, Innocenzo Spinazzi, Agostino Masucci).
La mostra offrirà altresì al visitatore un’ampia panoramica sulla natura e sulla funzione di dipinti e sculture (pale d’altare, quadri “da stanza”, miniature, bozzetti preparatori, etcc…), nonchè sui soggetti affrontati dagli artisti, da quello sacro, alle raffigurazioni allegoriche e mitologiche (Ignaz Stern detto Ignazio Stella, Simone Pignoni, Filippo Comerio, Vincenzo Morani), dal ritratto (Lorenzo Lotto, Luciano Borzone, Philippe de Champaigne, Ferdinand Voet, Giovanni Battista Gaulli detto il Baciccio, Pier Leone Ghezzi, Giorgio Domenico Duprà, Giovanni Antonio Cybei, Giacomo de Maria, Lorenzo Bartolini, Raimondo Trentanove, Vincenzo Vela), al paesaggio (Jan de Momper detto Monsu X, Giuseppe Bernardino Bison, Antonio Basoli, Anton Sminck van Pitloo), alla scena di genere (Eberhart Keilhau detto Monsù Bernardo, Matteo Ghidoni detto dei Pitocchi).
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