Museo Egizio. Alla luce le opere finora nei depositi
Progetto di Markus Scherer. Cambiano percorsi, vetrine e illuminazione. Tremila reperti
Dalle teche di plexiglas tappezzate di moquette, eredità degli anni Settanta, a moderne vetrine con basamenti in pietra calcarea chiara, la stessa utilizzata nel mondo egizio per realizzare sculture. Cambia pelle, grazie ad un nuovo allestimento, il Museo Egizio di Milano.
Tramontato il progetto di trasferimento al Mudec, da 15 anni 250 pezzi di una ben più ricca collezione che conta tremila reperti sono esposti in condizioni precarie in una delle sale Viscontee del Castello Sforzesco. Mentre prosegue il lavoro di restauro dell'imponente edificio, dopo i crolli di tegole dei giorni scorsi dalla torre del Carmine, saranno così valorizzati anche pezzi di grandissima importanza archeologica e storica come il papiro di Hornefer - il «Libro dei morti» lungo circa sei metri, sul quale sono scritte, in caratteri ieratici, tutte le formule che venivano pronunciate durante il funerale per agevolare il viaggio del defunto, i sarcofagi in legno dipinto, gli ushabty (le statuine che venivano poste nelle tomba perché potessero aiutare il defunto a svolgere i lavori agricoli nell'aldilà), le divinità tra cui le statuette in bronzo della dea Bastet ritratta in sembianze di gatto, e del saggio lmhotep, il costruttore della prima piramide, divinizzato dopo la morte.
C'è un legame molto stretto di Milano con l'egittologia, noto tra gli studiosi ma sconosciuto ai più. Un legame iniziato con gli studi e gli scavi del papirologo Achille Vogliano, profondo conoscitore ed editore di testi di Epicuro, che negli anni Trenta durante una campagna finanziata dal Comune di Milano a Medinet Madi recuperò, per esempio, la statua in calcare bianco del faraone Amenemhat (XII dinastia, 1842-1797 a.C.), noto per i suoi lavori di bonifica e valorizzazione della regione del Fayum. Insieme ad essa furono portati alla luce anche il ritratto di un principe, la testa di una sfinge di epoca tolemaica e numerose altre sculture in calcare. Da precedenti scavi a Tebtynis, dove Vogliano scoprì i riassunti di poemi di Callimaco, provengono invece oggetti della vita quotidiana di epoca romana: pettini, giocattoli, fusi, chiavi. Sarà Markus Scherer, architetto viennese, a riprogettare il nuovo Museo Egizio meneghino.
L'intervento si tradurrà in un ri-allestimento dei circa cinquecento metri quadrati già occupati oggi da un'esposizione ferma agli anni Settanta. Un piccolo e provvisorio spazio espositivo, che però è in cima alla top ten dei luoghi più frequentati del Castello Sforzesco, con circa novantamila visitatori all'anno.
Il progettista è stato scelto da una commissione tecnica di cui hanno fatto parte tra gli altri Claudio Salsi, soprintendente Castello e Musei storici e archeologici, Donatella Caporusso, responsabile Museo Archeologico e Anna Provenzali, responsabile del progetto. La commissione, dopo un'indagine di mercato, ha individuato e poi invitato a presentare un concept cinque architetti specialisti in campo museologico che si sono distinti in progetti significativi negli ultimi anni. Nel progetto firmato da Scherer, che ha studiato a Venezia dove si è laureato con Vittorio Gregotti e Bernardo Secchi, è prevista l'introduzione di strutture espositive e vetrine luminose con basamenti rivestiti in pietra calcarea chiara.
In autunno sarà consegnato il progetto definitivo cui seguirà l'affidamento dei lavori di allestimento, previa la sistemazione e la messa a norma dello spazio espositivo da parte del settore tecnico del Comune. La progettazione (40 mila euro) è a carico del Comune; i lavori di allestimento di vetrine, restauri e movimentazione opere saranno finanziati da Fondazione Cariplo (oltre 500 mila euro), all’interno del bando per i restauri del Castello.
Il ri-allestimento prevede anche un nuovo percorso espositivo e la valorizzazione di opere provenienti dai depositi.