Ovidio e l'arte dell'amore
"Amori, miti e altre storie" declinati in 250 opere da oltre 80 musei internazionali, alle Scuderie del Quirinale per la mostra che celebra il bimillenario del poeta dell'amore.
ROMA – In occasione del Bimillenario Ovidiano, mercoledì 17 ottobre presso le Scuderie del Quirinale inaugura la mostra “Ovidio. Amori, miti e altre storie”. Così il poeta fa il suo ritorno a Roma, da vincitore, dopo il duro esilio, sulle rive del Mar Nero, a cui fu costretto dall’imperatore Augusto. Colpevole di non aver condiviso quella rivoluzione e moralizzazione dei costumi proposta da Ottaviano, o come racconta Francesca Ghedini, curatrice della mostra – «condannato per la sua libertà di parola o per le sue frequentazioni». Si presume infatti che Ovidio nelle Metamorfosi cantasse Giulia, figlia di Augusto, con lo pseudonimo di Corinna. Da lì i sospetti di una relazione amorosa tra la fanciulla e il poeta.
In mostra un dialogo tra poesia e arte, immagini e parole che si snoda attraverso 250 opere concesse da più di 80 musei italiani e internazionali: tra i quali, gli Uffizi di Firenze, la National Gallery di Londra, il Louvre di Parigi, il Museo Archeologico Nazionale di Napoli. L’esposizione accompagna il visitatore dalla vita del poeta al contrastato rapporto con Augusto fino a quel «gioco un po’ perverso di mettere gli dèi alla berlina» – come lo definisce Ghedini.
Il percorso si apre con le parole e i versi di Ovidio, che sono poi, tutto ciò che ci rimane. Catturano l’attenzione i led con le espressioni comuni che hanno delineato i contorni della cultura occidentale: “non posso vivere con te né senza di te”, “in amor vince chi fugge”, “ogni amante è soldato”. Le definizioni di narcisismo, che è quel «male all'anima che impedisce, a chi ne è affetto, di amare altri all’infuori di sé stesso» e di ermafroditismo, non potrebbero essere utilizzate oggi se non fosse per il poeta che narrò le storie di Narciso e Ermafrodito.
Il volto di Ovidio è invece frutto di fantasia, lo immaginiamo attraverso le rievocazioni nei testi stampati rinascimentali o nei manoscritti medievali «copiate dai pazienti amanuensi che nel chiuso dei loro cenobi hanno copiano anche i suoi versi più audaci». Tra le parole e gli antichi manoscritti – come la prima edizione a stampa impressa a Bologna nel 1471 o l’edizione stampata nel 1502 dal celebre Aldo Manuzio – troviamo il ritratto cinquecentesco del poeta, ad opera di Giovan Battista Benvenuti detto l’Ortolano. Ovidio è raffigurato con penna, calamaio e libri e sullo sfondo sembrano comparire scene del mito di Latona e dei contadini della Licia, trasformati in rane per aver negato l’acqua alla dea e ai gemelli Apollo e Diana assetati.
Al primo piano prosegue la mostra, passando attraverso la bellezza, la seduzione e l’erotismo che permettono al poeta di erigersi a “maestro d’amore”. Scrive l’amore in tutte le sue forme, come uno scienziato che dopo aver sperimentato la competizione amorosa, suggerisce ai lettori regole e strategie. Dalle narrazioni degli Amores, le potenti passioni mondane che infiammavano i cuori di fanciulle, matrone, schiave e liberte, agli Heroides, che narrano l’amore mitico di eroine abbandonate o tradite da amanti bugiardi o semplicemente distratti. Pitture e affreschi di Amore e Psiche, Polifemo e Galatea, Satiro e Menade, le Vestali fino a giungere alla celebre Venere Capilligia – scultura marmorea di epoca romana, tra le più belle del mondo antico, databile a metà del II secolo d.C – o ancora la Venere che si slaccia il sandalo (II secolo d.C.) emblema della seduzione della dea nell'immaginario degli antichi romani fino a giungere alla Venere “pudica” del Botticelli.
Si passa poi alle raffigurazioni della famiglia Giulia, che si intrecciano con il turbolento rapporto tra l’Imperatore e il poeta e con la beffa che egli si fa degli dei. La stessa Venere mai narrata da Ovidio come l’austera matrona fondatrice della dinastia Giulia diventa quasi cortigiana, libertina, donna frivola, fedifraga; come nella statua della Pudica, dove Venere si copre con vaga malizia o ancora nelle raffigurazioni del mito di Marte e Venere, colti di sorpresa dal dio Vulcano, dalle terrecotte di età ellenistica ai dipinti seicenteschi.
E da Venere, ai miti di Niobe e la strage dei Niobidi, che disegnano Apollo e Diana come “fratelli vendicatori”; colmi di sentimenti di vendetta, spregiudicatezza e violenza, che li portano a compiere uno dei massacri più feroci conosciuti. Tutti gli Dei finisco tra le righe di Ovidio: il mito di Apollo e Dafne, Diana e Atteone, Apollo e il satiro Marsia. Fino a giungere a Giove, sovrano di tutti gli Dèi, signore del cielo e garante dell’ordine cosmico che cambia volto con il poeta e diviene un seduttore, un amante insaziabile; anche lui libertino, malizioso e scorretto pur di raggiungere gli oggetti del suo desiderio. La ninfa Io, Leda – di cui in mostra è esposto “Leda e il cigno” una copia di Leonardo da Vinci datata 1510-1520 – ed Europa, che ritroviamo nel maestoso “Ratto di Europa” di Jacopo Robusti detto Tintoretto, datato 1541-1542.
Si prosegue al piano superiore con la morte di Adone, dove Venere piange la morte dell’amato, talvolta raffigurata con la corona di rose – che intreccia le narrazioni ovidiane a quelle di Pausania – talvolta eroina seicentesca, che Michele Desubleo secondo l’ispirazione di Guido Reni, dipinge con lo sguardo rivolto verso l’alto, maestosa, implorante che “si lamenta con il destino”.
L’esposizione si conclude con una serie dedicata alle fanciulle che diventano dee, tra le quali Arianna e Proserpina; ai Romeo e Giulietta dell’età antica – Piramo e Tisbe –, a Ermafrodito e Salmacide, emblema «di un desiderio carnale che muove l’animo di Salmacide che, pur di possedere Ermafrodito, diventa tutt’uno con il suo corpo». Fino a giungere all’irruenza giovanile di Icaro e Fetonte che «non sentono ragione e osano, trascinati dalla loro audacia, trovando una drammatica, inevitabile morte».
Perciò alla domanda “perché Ovidio?” la curatrice Ghedini risponde: «Ovidio nell’auspicio che ogni visitatore possa portare con sé un’informazione, un’immagine, uno scorcio di società del tempo, a seconda della sua sensibilità e della sua cultura. Qualcuno riesumerà vecchie memorie scolastiche, altri si chiederanno perché certi racconti, crudeli e sanguinari, ornavano i cassoni che contenevano il corredo portato in dote dalle giovani spose; alcuni infine, saranno incuriositi, attirati, affascinati, da uno o più degli straordinari oggetti esposti in mostra. Il nostro auspicio è che ciascuno possa provare un’emozione, trovare uno spunto, portare con sé almeno un frammento di un poeta, che con la sua parola ha fondato la cultura figurativa dell’Europa; e festeggiare con noi il suo ritorno a Roma da vincitore». (foto gallery n. 2 Camilla Folena)
Informazioni: dal 17 ottobre 2018 al 20 gennaio 2019 presso Le Scuderie del Quirinale, in Via XXIV Maggio, 16, Roma.
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