CINZIA VIRNO

Conosco Raffaele Ripoli da quando eravamo bambini. L’ho sempre reputato un tipo eccentrico, singolare, pieno di vita. Una persona estrosa che si distingue per iniziativa e originalità. Non mi ha dunque stupito che al suo mestiere di architetto – svolto a lungo anche ad Amsterdam – abbia affiancato da tempo una ricerca artistica che, iniziando con il disegno, si è fatta sempre più complessa e lo ha portato nel tempo ad una produzione più serrata, anche e soprattutto pittorica. Negli ultimi anni il Leitmotiv della sua indagine è la sua terra d’origine: la Calabria, con le sue asprezze, le sue luci, i suoi colori. Che siano architetture o figure si tratta di opere forti, dall’impatto deciso, che sanno cogliere la vera sostanza più che la forma reale di ciò che rappresentano. Scorci di paese con figure di popolani, ma più spesso solitari e muti; case arroccate. Elementi volutamente noncuranti di regole prospettiche poiché non è la ricerca di un vero realistico che lo interessa, è la sua essenza, il messaggio insito dietro l’apparenza. I luoghi sono resi riconoscibili da una sorta di meta- linguaggio, fatto di linee, densi strati di colore, abili incastri architettonici che ci mostrano una terra vera, audace, sincera. Ripoli è alla ricerca di siti eterni, sopravvissuti al tempo e mai trasformati. Rappresenta una realtà che ben conosce, che ama e che fa parte di sé. Esemplificativa in questo senso è l’immagine della Turra – casolare di campagna delle terre calabresi – che ricorre in tante sue opere dove la vediamo ergersi solitaria e orgogliosa, consapevole del suo ruolo di protagonista. E poi, le vedute di Scigliano, il paese vicino Cosenza del quale è originario, con le stradine tanto caratteristiche, le salite ripide, gli agglomerati di case, gli scorci, le chiese; qualche veduta della vicina costa. Tutte opere che rivelano un denominatore comune: il forte senso di appartenenza a quella terra e il desiderio di tradurre in arte i suoi aspetti più intrinsechi. Anche nella figura è costantemente alla ricerca dell’archetipo. Non persone ma personaggi, caratterizzati da una resa di matrice espressionista condotta fin quasi all’esasperazione e pervasa da una piacevole, sottile, vena umoristica: Il pianista, l’ebreo, il politico, il prete comunista, i massoni, ma anche il lombardo, l’irpino, l’omino di valle. Non c’è ricerca fisiognomica in questi soggetti. Sono figure riconoscibili da un’iconografia molto stringente, da un linguaggio simbolico fatto di segni e colori. Le forme nette e sgargianti di queste figure quasi ritagliate sullo sfondo, a dispetto della serietà del tema, diventano anche pretesto per una composizione gioiosa e fortemente decorativa. Diverso è il caso dei ritratti, come quello della madre, splendida donna del sud che ebbi il piacere di conoscere. In quest’opera, come nel suo autoritratto Ripoli ricerca la somiglianza e lo fa esaltando i particolari più evidenti del volto, come il suo stesso sguardo, attento e indagatore. La sua produzione è coraggiosa, incessante, in continua evoluzione. Tuttavia, pur con i normali passaggi e cambiamenti, mantiene sempre la sua schiettezza, quel modo diretto e sincero di aprirsi al mondo, avviata com’è su una strada sicura e solida che desterà ancora molte sorprese.


CINZIA VIRNO

Roma, marzo 2020