Ernesto Galdi, Il SECOLO D’ITALIA – 18 giugno 1971

….Il vero artista prima di presentare al giudizio della critica e del pubblico le sue opere setaccia la scoria. E’ irrequieto, è scontento; non si placa se non quando raggiunge il vertice delle sue affannose ricerche. E’ il caso del pittore ciociaro Michele ROSA…. .

….Pittura la sua elegante ma senza esagerazione, delicata senza smancerie, calda e qualche volta anche irruente ma senza pesare troppo sulla sensazione…. .

….Michele Rosa, si intende, non tanto ama la bellezza, quanto la verità, sebbene a volte la sua verità sia un poco amara o magari repulsiva esteticamente parlando come ad esempio “Gioventù irruente” e “Urlano canzoni senza parole”…. .

….E Michele Rosa ancora lì, sui suoi modelli, nient’affatto pauroso del brutto e magari del deforme; ostinato a rendere attraverso la sua maniera lo spirito, attraverso le cose il succo o il calice amaro della vita. Si è infatti colpiti davanti alle sue manifestazioni di pensiero così altrettanto di fronte all’opera di artista…. .

….Noi lo vediamo; animoso cercatore di armonie segrete, di disarmonie sciagurate rappresentate dal mondo nefasto dei capelloni e delle sgualdrine di tutti i ceti. Cosicché nei suoi quadri c’è tutta la sua vita; di lavoratore e di pensatore.

Ci offre infatti soggetti e composizioni le più disparate, queste composizioni vivono certo anche di per se stesse, ma dietro ci senti poi o ti par di sentirci la passione dell’artista che sa cosa è la vita e non vuole nascondere a sé ed agli altri l’angosciosa verità…. .

….Questo, in sintesi il ritratto di Rosa degno figlio di quella città volsca tanto contesa da tre grandi popoli, da tre grandi eserciti: i romani, i sanniti, i longobardi e che diede i natali a Michele Biancale, maestro insigne di tutta la critica d’arte italiana.