Massimo Rossi

Sara Arosio diventa, progressivamente, una vecchia conoscenza. Buon per lei, ovviamente, poiché ciò significa, in primo luogo, che l’artista possiede un codice originale e una forma compiutamente identificabile e facilmente riconducibile al suo estro. Secondariamente è il suo curriculum, ricco in quantità e qualità, a dimostrare una lunga navigazione e una trascorsa esperienza all’interno di mostre ed eventi. Non si tratta, tuttavia, qui e ora, del solito e ritrito discorso sulla tenacia e sull’ostinazione dell’artista. Sara Arosio pare mossa da un’urgenza maggiore, da un imperativo categorico obbediente solo a se stesso. È il diktat primordiale dell’arte: l’arte risponde, innanzitutto, a finalità voluttuarie e ciò vale ancora di più all’interno del quadro moderno della rischiosissima libertà dell’artista. L’opera di Sara Arosio pare, dunque, prendere le mosse da questa purezza intellettuale e spirituale. La questione è quanto mai evidente: le suggestioni dell’optical art (ancorché limitanti) si contaminano di necessità psicologiche, di atti liberatori, di messaggi di ordine e di disordine, di vie di fuga, di andate e di ritorni, di infinite combinazioni esistenziali. Sara Arosio agisce dentro un personalissimo divertissement che, tuttavia, è un ricamo tremendamente serio. Sara Arosio è, dunque, pura, poiché ermetica e conclusa, in taluni frangenti, ma mai eludibile o indifferente dal punto di vista visivo. E non si provi ad aggiungere, oltre alla categorizzazione dell’optical art, la pur semplice tentazione surrealista che pure, oramai lo abbiamo affermato, sembra insinuarsi tra le sue morbide scacchiere. Il nostro è, se non altro, il tentativo di dire che l’autrice ha macinato un certo (e non banale) Novecento. Educazione nobile, dunque, quella di Sara Arosio, artista consapevole di una stringente necessità progressiva di obbligatorio affrancamento da qualsivoglia etichetta, come un vestito sempre fuori misura e inadatto. Sara Arosio è tale e basta. La si vede, all’interno delle sue tele, arrampicata su improbabili funi o nel suo felpato passeggiare accanto a un’altra se stessa. I percorsi sono sempre tracciati, le linee trionfano. Possiamo stare certi che le sue partenze possiedono, costante, un filo d’Arianna capace di riportarla all’ordine e alla pacificazione.