Tommaso Evangelista
Il colore dei pensieri
Personale di Sara Iafigliola
Sono le cose più semplici a darmi delle idee
Joan Mirò
La vita delle forme è sempre stata un mistero per i critici, inadeguati a volte a leggere le intuizioni degli artisti, poiché indagare una poetica e un segno significa prima di tutto curare l’arte attraverso il filtro dell’intuizione (e di una solida preparazione storica). Il discorso dei legami tra segno, materia ed energia, tra l’altro, si complica nel momento della definizione poiché o si accetta l’opera come sensazione intuitiva oppure si procede a un’analisi delle leggi interne. Scrive Achille Pace «L’”essere” come espressione d’arte è il rapporto tra l’artista e il suo gesto, gesto come “segno”. Il gesto inteso come “segno” sostanziato dalla materia (segno-materia), da un punto di vista espressivo si arricchisce di una maggiore forza, una maggiore pregnanza. Esso esprime l’identità dell’artista» . Con la fine dello “stile”, universale e assoluto, emerge la “poetica”, personale e irripetibile, e compito del critico è studiare le tante poetiche per ricavarne un discorso generale. Una delle più opportune riflessioni di sistema che si può fare circa l’arte contemporanea, infatti, è quella di distinguere tra un linguaggio che segue la sensazione personale e l’impressione del mondo, inserendosi in un processo iniziato dal Romanticismo, e una ricerca che sceglie le regole, le dinamiche tra gli oggetti, la teorizzazione e, sostanzialmente, il numero. Nella lavoro di Iafigliola sembrano legarsi entrambe le cose anche se il rigore di ciò che appare è solo una fossilizzazione di pensieri più immediati. Le sue opere si contraddistinguono per la riconoscibilità e la ripetizione di segni specifici che trovano sulle tele e le tavole dinamiche nascoste: le stecchette di legno, scelte per la semplicità e l’elementarità della forma, assumono disposizioni apparentemente casuali ma impostate su leggi interne specifiche, diventando elementi grammaticali di un linguaggio nascosto. L’artista, dopo aver studiato determinate strutture attraverso disegni, comincia a lavorare partendo da sinistra per aggiunta di segni-oggetti secondo numeri ricorrenti (24 e 7), gestiti di volta in volta in insiemi differenti. La ripartizione della superficie, pertanto, pur basandosi su logiche matematiche interne, nasce per intuizione momentanea, attraverso un libero gioco formale di segnali e colori: solo a conclusione viene ad assumere un titolo il quale poi altro non è che residuo poetico dell’azione. L’introduzione di forme dissimili, come nel caso dei dischetti di legno, successivamente argentati, di Era la luna conduce l’opera sulla soglia di un paesaggio apparentemente astratto e minimale ma estremamente evocativo nella collocazione degli elementi. Nel caso della serie Incontri il processo è sempre di addizione di segni anche se in questo caso all’aggiunta di un elemento tridimensionale l’artista preferisce la traccia, in virtù della fossilizzazione sul piano dell’impronta dello stesso stecchetto imbevuto di colore. Non più costruzione e disposizione regolare bensì sottrazione e sovrapposizione di segmenti minimali seguendo le compenetrazioni delle orme. Anche il colore, in tutto ciò, concorre a dare coerenza all’opera. I fondi sono quasi sempre neri opachi omogenei (raramente l’artista lavora su piani di colori accesi) mentre, per le tracce, le tinte principali sono il rosso, il nero lucido, il bianco e il grigio poiché l’importanza data alla forma deve essere esaltata dalla componente cromatica e pertanto solo con una combinazione di tali colori è possibile far percepire l’opera nel suo incontro di elementi. Il rosso attira lo sguardo, legato all’emozione e all’intensità, il bianco lascia immaginare una visione, il nero, in riferimento allo spazio infinito e alla contemplazione, attraverso la percezione di uno spazio infinito, pone tutte le materie su un piano di confine percepibile nelle sue sfumature dense o immateriali. Discorso a parte merita la serie con la sabbia, di impostazione maggiormente materica-concreta, a differenza del lirismo astratto-minimale, post concettuale, delle precedenti opere. In questo caso Iafigliola lavora sul ricordo, trasfigurato in chiave oggettuale ma legato sempre a una rievocazione sintetica del paesaggio, cercando di comunicare l’ambiente marino attraverso l’uso della sabbia colorata disposta sempre su un fondo nero omogeneo. Diversi tipi di sabbie, quella liscia dell’Adriatico o quella pietrosa del Tirreno, insieme ad altri oggetti trovati sulle spiagge (pezzi di legno, frammenti) concorrono poi alla creazione di palinsesti e riquadri che sintetizzano il ricordo nell’attimo dell’oggetto. Se le stecchette ci raccontano una storia, le sabbie pertanto ci descrivono un paesaggio fatto dell’essenzialità dei principi: polvere e idee. L’opera dell’artista, per quanto apparentemente ermetica e refrattaria alla contemplazione, in effetti nasce da un’intensa poesia interna, concettuale e personale ma estremamente sofisticata. Il raccontare solo attraverso brani di colore e segni minimi, cercando di trasmettere emozioni con forme essenziali che, in quanto minime, possono lasciare estrema libertà di visione fino ad una certa confusione, è una caratteristica che sicuramente esalta tali lavori nati in fin dei conti dalla semplicità dei sogni e dei pensieri. Del resto scriveva Prevert di Mirò: «Un innocente col sorriso sulle labbra che passeggia nel giardino dei suoi sogni».
Tommaso Evangelista