ANNA MARIA CORSI - Storico - Critico d'arte

Sia che l'artista rappresenti oggetti familiari e riconoscibili , riprodotti più o meno fedelmente , sia che contamini la tela con grumi di colore e macchie uniformi ,la pittura rimane pur sempre una magia delle linee e dei colori che seducono. Le cose perdono qualsiasi rapporto con la loro funzione originaria e diventano involucri vuoti , forme vuote.

La chiave di lettura dei quadri di Sergio Giancarli non è tra l'altro letteraria, ma mentale. Il suo scegliere oggetti comuni e caricarli di significati simbolici , sono richiami al mondo del sogno e dell'infanzia.

Gli oggetti e i ninnoli che l'artista raffigura alludano a qualcosa altro fin quasi a perdersi nel vuoto della superficie.

Non a caso in alcune opere le forme campeggiano su delle lettere dell'alfabeto scritte con una calligrafia stilizzata , oppure su parole che hanno perduto il loro valore originario ( La città delle lettere). In alcuni casi usa procedimenti " cubo -futuristici" , tradotti su una sorprendente monocromia fino a testare una curiosa mediazione tra il realismo e la solitudine metafisica delle scene teatrali ispirandosi ai maestri Pre -Rinascimentali come Giotto e Paolo Uccello e quelli della Metafisica come Giorgio De Chirico e Carli Carra'.

Nei paesaggi assolati e deserti in cui campeggiano arcate e architetture, la presenza umana è assente o ridotta a esili figurette che fanno risaltare ancor di più la solitudine e la malinconia di questi vuoti teatri dell'anima . Giancarli le rende elementari , nel senso che le semplifica facendo perdere la loro sostanza, distaccandole dalla loro originaria funzione. E' qui l'uso della maschera, il primo strumento scenico dell'attore, diventa uno strumento di difesa, di fuga, di falsità. Il mondo del teatro a cui si fa riferimento è considerato dal linguaggio quotidiano quale regno delle finzioni e dell'inganno. Il palcoscenico teatrale usato come metafora , non è lo spazio in cui si finge , ma lo spazio in cui è possibile creare un significato delle azioni.

La scena non è più il luogo dell'inganno ma il luogo di rappresentazione. L'uomo non ha creato maschere per nascondersi, ma al contrario per poter apparire. Pur ponendosi come diaframma tra il volto e gli altri, non nasconde ma rivede.