Elena Gollini

. . . Simonetta Farnesi, con i suoi omaggi di riproduzione pittorica a grandi maestri esponenti del passato, rivive quasi l'idea della mimesi perpetrata e tramandata dalla tradzione classica. Il modello di derivazione cubista-picassiano è stato per un certo periodo, dal 1945 al 1950, il punto di riferimento principale da imitare  per molti giovani pittori. E' un gusto che si è diffuso in qurgli anni e ancora oggi permanee viene portato avanti da artisti contemporanei, qualificando ulteriormente un esponente illustre come Picasso. Baudleire diceva che una donna ritratta era bella solo se aveva gli occhi truccati mentre il suo contemoraneo Corat preferiva la verità, cioè la donna al naturale, rispecchiando due concezioni diverse, ma anche complementari tra loro.
Entrambe si ispirano infatti, come avviene di regola in pittura, ad un nucleo originario, sia ideale sia reale.
La Farnesi si pone e si canalizza sul filone e sulla scia di questi orientamenti e sceglie di percorrere la strada della derivazione culturale. I suoi modelli non sono reali ne senso che non consistono nella rappresentazione dell'oggetto nella sua visione naturale, ma sono modelli derivati. In pratica, spesso e fino ad ora, l'oggetto è un altro dipinto. Come succede per il pittore che esegue il lavoro pittorico dal vivo, ritraendo una persona fisica e un'immagine reale, si sommano insieme due aspetti: quello della raffigurazione del soggetto, cioè della verosimiglianza, e quello dell'interpretazione, cioè della sovrapposizione della natura stessa dell'artista. La raffigurazione è pronta per essere riportata dalla
pittrice nella magia artistica dell'illusione pittorica della copia d'autore. Questo accade anche nell'ambito della fotografia, in cui non ci sarebbero grandi fotografi, se tutto venisse ridotto e ricondotto esclusivamente all'uso del mezzo fotografico stesso. La Farnesi lavora con i colori nelle loro combinazioni e con il pennello, sapientemente orientato nella sua azione esecutiva. Ella parte da un punto focale, cioè l'opera da riprodurre, ma arriva inevitabilmente ad un altro punto, che è quello della rivisitazione soggettiva implicita e della personalizzazione sottile dell'opera, alimentando il dinamismo suggestivo e la portata espressiva della composizione d'insieme  e immettendovi il suo peculiare imprinting di esclusiva rielaborazione. Questa formula riproduttiva può essere più o meno evidente, ma è sempre presente ed emerge a seguito di un'attenta  e acuta osservazione da parte dello spettatore. . . La Farnesi ha piena conoscenza della materia e associa un'esperta e radicata competenza strumentale riuscendo ad approfondire al meglio le diversità, anche quelle più sottilie minimali di un linguaggio espressivo che può riconoscere di possedere in sè il valore comunicativo aggiunto dell'interpretazione, rispetto alla semplice e stretta imitazione copiativaed emulativa a sè stante. Guardando le rievocazioni della Farnesi, bisogna saper cogliere cosa si nasconde dietro e andare oltre la versione dell'originale per concentrarsi sulla valenza sostanziale e sullo spessore intrinseco presente dentro l'omaggio da lei riprodotto. L'autrice prende lo spunto e si impossessa simbolicamente dell'immagine originale, la fa sua e ne accresce la forza, il vigore e l'energia dell'essenza del contenuto. Ci permette di celebrare e apprezzare ancora di più i grandi maestri e di cogliere e recepire nell'arte anche le minime e minuziose variazioni, quegli accenti lievi e quelle screziature e velature più sottili, che vengono avvalorati e fatti risaltare nell'atto creativo.
 
                                      Elena Gollini   (critico d'arte -  2015)