Dino Ales
Anche se altri, scandagliando la produzione pittorica di Tony Alonzo, hanno rinvenuto in essa alcune chiare ascendenze, come, ad esempio, il surrealismo e la metafisica storiche, a me non sembra contraddittorio se, ad una più attenta lettura, si rinvenga, invece, un legame chiaro, una adesione che non esiterei a definire ideologica alle radici del simbolismo, che, d’altronde, inquadrato in una prospettiva storica più ampia, si colloca lungo una linea che collega il romanticismo al surrealismo.
È stato il simbolismo un momento importante della moderna storia culturale, che anche se poi avrebbe dato origine, attraverso tanti suoi illustri epigoni, a diversi percorsi del pensiero, della poesia e dell’arte contemporanea, aveva un unico motivo fondante nella interpretazione dello spettacolo della realtà, inteso come una rete di simboli, con i quali fosse possibile reinventare il mondo intero. Un nuovo compito veniva assegnato al poeta ed era quello di “decifrare”, non più di “raccontare”.
Evocare a poco a poco un oggetto per mostrare uno stato d’animo, o, inversamente, scegliere un oggetto per ricavarne uno stato d’animo con una serie di “deciframenti”.
Ecco, mi sembra proprio che l’operazione estetica di Tony Alonzo, se si considerano i suoi esiti più apprezzabili, e, comunque, i più coerenti con gli assunti e le intenzioni dell’autore, abbia, come suoi principali temi, da un lato questi suoi “stati d’animo”, che sono poi concetti morali, giudizi, condanne, approvazioni, ripulse, angosce, ansia d’infinito e, dall’altro, gli oggetti, le cose, ovverossia i “simboli”: questi ultimi posti a “decifrare”, se non proprio ad “inverare” quegli stati d’animo dell’Artista, la profondità dei suoi sentimenti, della vita, dell’esistenza stessa.
E’ proprio in questo rapporto bi-direzionale tra oggetti e stati d’animo, in questo sforzo di “deciframento” che, mi pare, consista la tensione di questo far pittura che, tra l’altro, non fa mistero dei suoi intendimenti didascalici.
Anche se il peccato è raffigurato in una mela, come nella litografia “Innocenza e Turbamento”, l’oggetto, la “cosa” sta lì ad indicare la condanna della trasgressione: la mela è un “simbolo”, appunto.
Intendimenti didascalici, dicevamo, come ne “La nuova alba”, nella quale non fanno certamente difetto figure, i simboli, per l’appunto, occasioni, strumento, materializzazione di altrettante indicazioni, insegnamenti (il piccolo ignudo che fissa una rosa che cresce nel mezzo di una strada, un sole nascente sull’orizzonte che li illumina e riscalda entrambi, insieme ai resti di vecchi alberi, morenti sul fondo di un prato sassoso).
In Alonzo non ci sembra traspaia ancora una risoluzione, almeno in senso precipuamente religioso, anche lì ci sembra che un misticismo, sia pure innegabile, non fondi su un nocciolo di natura teologica, bensì in una tensione che, se pure di natura morale, è ben radicata in una condizione umana e terrena, la cui trascendenza si compie e si invera, più che nella fede, nel sogno e nella poesia.
Eppure è innegabile che questo procedere per simboli risponda, soprattutto, ad un’ansia metafisica e si conduce ad una concezione dell’arte essenzialmente “rivelativa”, con un ricorso privilegiato a quei simboli (talvolta metafore,vere e proprie allegorie) che costituiscono un richiamo a soggetti a forte connotazione etica (peccato e redenzione, cicli delle ore o delle stagioni o delle età della vita, ecc.)
La natura è quasi assente in queste composizioni: il paesaggio è limitato a luoghi densi di richiami che conducono univocamente verso l’assunto che è posto a tema da dimostrare, a concetto da decifrare, a messaggio da inculcare.
Predomina la figura, particolarmente quella femminile, che assume una importanza emblematica, vista secondo due aspetti, talvolta fusi insieme, quello della donna angelo e quello erotico-sensuale, inteso, mi sembra, se non certamente come diabolico, come in negativo, nel senso di “altro” rispetto al primo.
D’altronde è proprio nella chiave simbolista preferire, così come il generale al particolare, l’irrazionale al razionale, lo spirituale al materiale. E’, in fondo, quella di Alonzo, una sensibilità profondamente utopica, che lo spinge a cercare l’evasione nel mondo del sogno e nella evocazione di situazioni mistiche, che magari egli trae dal suo vissuto, dal profondo della sua memoria, ma sulle quali però aleggia, come un soffio animatore, il desiderio e la speranza che si inverino in un mondo migliore.