DOTT. MASSIMO GUASTELLA
Primi appunti della produzione artistica di Valeria Ferrari.
Massimo Guastella
La carriera artistica di Valeria Ferrari è da considerarsi tutto sommato breve, se pensiamo che la sua prima mostra personale, a Bari, risale al novembre 2016. Versatile nella vocazione creativa, che, da bambina, ha assorbito dalla madre artista e appreso nelle botteghe di ceramica e incisione, si esprime come violoncellista, pittrice e scultrice per usare una terminologia tradizionale delle tecniche artistiche. Parallelamente la sua formazione si è rivolta agli studi di psicologia. In questo mélange di interessi ha sviluppato una particolare sensibilità artistica che sente sia giunto il momento di esporre con continuità per la giusta verifica con il pubblico.
Nel suo taccuino di appunti progettuali, l’intenzione primaria sembrerebbe essere l’esplorazione dell’inconscio, che nelle sue affermazioni è sollecitata da personali curiosità culturali che vagano dal surrealismo di Dalì alla visionarietà cinematografica di David Lynch, ovverosia dalla modernità alla postmodernità, mescolando immagini simboliche a elementi che affrontano problematiche, svantaggi e discriminazioni, dell’universo femminile. Lo si osserva nelle opere recenti ove fa propria la tendenza odierna delle nuove leve che attraversano, sintetizzando, incrociando, sovrapponendo un po’tutti i linguaggi del secolo scorso. E le realizza mediante una molteplicità di materiali, che lei sperimenta, quali il cemento, il petrolio, il poliuretano espanso spesso affiancati a dei piccoli fiori (vedi Leucotea, la dea bianca), rozzamente - per scelta dell’autrice - formati nelle risoluzioni plastiche a rilievo (latamente Veneri primordiali), tra astrazione e approssimazioni figurative sulle tele dove traccia col nero catrame larve umane.
«Le Mie Donne si ergono come Sculture in un mare di nero pastoso e profondo, come campi innevati di una sensibilità profonda, guardati alla luce della luna», afferma l’artista, a proposito di quelle sue tipologie femminili che travalicano i canoni estetici imposti dal mondo dell'immagine contemporanea. Con abilità manuale che trova impulso nella dimensione concettuale, le materie pastose e lievi al tempo stesso giungono a farsi personaggi, originati da un percorso psicologico prima ancora che esecutivo, che raffigura secondo una riflessione che dall’icona tradizionale d’identità muliebre approda a una proposta di alterità forse anche di autorappresentazione su base emotiva. La meditazione su cui fa leva è riscontrabile nella relazione tra i due medium artistici di scultura e pittura, le cui vicende nella sua produzione corrente tendono a intrecciarsi. Talvolta li accomuna una pittura plastica, corposa e una scultura segnata, su fondi monocromi neri.
Su questi itinerari di indagine si è dunque avviata la produzione di Valeria Ferrari, tutta in fieri e che tuttavia non ha mancato di annoverare una qualche considerazione critica che ci orienta sul divenire del suo lavoro, come quella di un artista accorto qual è Nino Tricarico che ha osservato, in occasione della mostra Archetypo, la modalità dell'artista barese di stendere «sulla tela immagini primordiali di forme vagamente reali, di colore nero catrame, dense e pastose, e successivamente illumina il quadro di una luce (...) che diventa categoria del sentimento in contraddizione dello spazio come categoria dell’esperienza», quest’ultima in graduale crescita.