DOTT.SSA FEDERICA COI

MATERIE, COLORI E SIMBOLOGIE NELL'UNIVERSO DI VALERIA FERRARI

Federica Coi

La produzione di Valeria Ferrari è caratterizzata da un’incessante tensione sperimentale che, accompagnata da un lato dalla giovane età e dall'altro da una personalità attenta alle diverse possibilità espressive offerte da vari mezzi, la conduce a creare composizioni che spaziano dalla pittura alla scultura e all'installazione, adoperando linguaggi che variano dalla figurazione all'astrazione.

Nata a Bari nel 1988, ha alle spalle una formazione artistica non accademica ma trasmessa in prima istanza dall'ambiente familiare. Figlia di due musicisti, Valeria – oltre a frequentare i corsi di Violoncello presso il Conservatorio Niccolò Piccinni di Bari – è stata infatti iniziata all'esplorazione della propria creatività dalla madre Anna Guerriero, dedita alla pratica del mosaico, nonché dalla frequentazione di botteghe di ceramica e incisione. Non a caso, la sua primissima produzione e la sua precoce attività espositiva sembrano muoversi sotto l'egida della figura materna, con la quale dal 2010 al 2013 ha creato una collezione di gioielli e allestito le prime mostre.

Presto, però, Valeria ha avvertito la necessità di proseguire con un percorso artistico autonomo, cercando nuovi approdi espressivi e si è così dedicata alla pittura, non intesa però nel senso tradizionale del genere, ma sperimentata come un linguaggio ibrido: la sua è una pittura materica creata con materiali eterogenei come il cemento, il petrolio, il poliuretano espanso, i colori ad acqua, ma anche elementi naturali come i fiori, disposti su supporti che variano dalla tela a porte di legno che si tramutano in oggetti plastici. Come per molti artisti contemporanei, la sua produzione sembra aver assorbito il concetto – tramandato dalla lezione novecentesca – di fusione degli stili artistici: a tal riguardo si è espresso Massimo Guastella, in occasione della recente personale dell'artista barese Save the beauty a Cisternino, osservando come nell'ultima produzione «fa propria la tendenza odierna delle nuove leve che attraversano, sintetizzando, incrociando, sovrapponendo un po' tutti i linguaggi del secolo scorso».

Nella forte componente polimaterica dei lavori di Valeria Ferrari, un importante ruolo è rivestito dall'aspetto concettuale, memore dei suoi studi in Psicologia: le sue opere, infatti, nascono da una meditata riflessione interiore, delineandosi dapprima nella mente dell'artista per prendere poi forma sui diversi supporti attraverso i vari materiali. E, probabilmente, nell'ottica psicologica-concettuale è da intravedersi l'ispirazione dichiarata dalla giovane artista alle opere di Salvador Dalì e David Lynch, lontane nell'aspetto formale dalle sue creazioni, ma idealmente vicine nella volontà di descrivere il mondo del subconscio.

Il tema dell'universo denota alcune opere recenti realizzate dal 2015 al 2017, polimaterici su tela e su cartone che, complici gli effetti luminosi e sonori, si tramutano in un'unica installazione.

Lo spazio è interpretato dall'artista attraverso tre prospettive: quella scientifica riconducibile all'astronomia, quella simbolica legata agli archetipi e quella artistica correlata alla poetica di Valeria, che sintetizza le prime due.

Nella sua riflessione, l'artista parte dal concetto stesso di universo, inteso come essenza onnicomprensiva di tutti gli elementi dell'esistenza o, prendendo in prestito le sue parole, «un grandissimo contenitore di energia che scorre, mai statica ma sempre in costante movimento».

Considerando la composizione dello spazio, costituita da materia ordinaria e materia oscura, armonia e caos, materia e antimateria, luce e buio, Valeria Ferrari ricrea nei suoi quadri questa dualità insita nell'universo.

Ma la dualità, pur ponendo in antitesi cose di per sé opposte, risulta fondamentale «per raggiungere uno stato di equilibrio in un universo che cambia costantemente. Può considerarsi quindi vincitore chi arriva a comprendere e capire il dualismo e lo accetta per poi trasformarlo», afferma Valeria.

L'artista, che ama autodefinirsi “chimica dei materiali”, sostiene di praticare una pittura “non duale” ma basata sulla complementarietà di materiali e concetti che per loro natura si trovano agli antipodi.

In queste opere – apparentemente astratte ma che, in realtà, descrivono le costellazioni dell'universo – insieme ai colori ad acqua irrompe sulla tela il petrolio, molto usato anche in altri lavori di Valeria Ferrari: si tratta di una materia largamente diffusa nel quotidiano e, per questo motivo, sembra quindi interpretata come una sorta di archetipo contemporaneo.

Sul supporto, i materiali non legano, ma rimangono indipendenti creando talvolta delle crettature: l'effetto è voluto e studiato ed è finalizzato alla resa espressiva delle opere, in cui gli elementi divengono per questa via complementari.

Utile alla qualità espressiva è anche il rapporto tra spazio espositivo e installazione dei lavori pittorici corredati dall’ambientazione sonora e luminosa: l'artista non vuol far dialogare le opere con il luogo in cui sono temporaneamente esposte, anzi l'effetto voluto è far stridere il contenitore e il contenuto. Dà, così, vita a una dissonanza, a una contaminazione di elementi fra loro molto lontani, non ritenendo necessaria e obbligatoria l'idea – ancora nostalgicamente cara a certa critica – secondo cui le opere debbano cercare un'affinità con il contesto espositivo.

Con le installazioni dedicate allo spazio, inoltre, Valeria Ferrari vuol rendere omaggio alla figura di suo nonno Luciano Guerriero, fisico e primo presidente dell’Agenzia Spaziale Italiana. Apprezzando per suo tramite gli studi sul cosmo, l'artista ha fatto degli elementi astronomici materia della sua arte.

I lavori, pur apparendo a un primo rapido sguardo privi di un soggetto specifico, intendono rappresentare in maniera del tutto personale alcuni oggetti celesti che, per un occhio non avvezzo al sapere astronomico, potrebbero risultare di difficile identificazione. L'unico elemento riconoscitivo può ricondursi alla scelta dei colori con i quali l'artista ha voluto riprodurre e interpretare le luci che caratterizzano le varie galassie, stelle, nebulose, sorgenti di onde radio e altre parti dell'universo.

Al contempo, però, sembra ritornare nella scelta dei soggetti l'idea della complementarietà fra due corpi che sottende alla poetica di Valeria Ferrari. Prendendo ad esempio alcune opere, se Sextans da un lato richiama attraverso i colori caldi e aranciati l'omonima costellazione, d'altro canto si apprende che questo oggetto celeste include una stella doppia e, allo stesso modo, Ursa Major ne ospita due e i colori scelti da Valeria richiamare alcune stelle che compongono la costellazione. Similmente, raffigura Penguin, una galassia che, interagendo con un'altra, crea degli effetti singolari. Un'altra costellazione rappresentata dall'artista è Crater, che possiede diverse stelle doppie e, nel ricordare la coppa di Apollo, rimanda alla mitologia greca, proprio come il satellite di Urano Cupido – simbolicamente rappresentato dai colori blu e rosso, uno freddo e l'altro caldo, che qui si pongono in una situazione di prossimità – ed Eletra, una delle stelle più brillanti delle Pleiadi.

In Aludra Valeria Ferrari sembra affrontare anche un altro tema a lei molto caro: quello dell'universo femminile e, non a caso, questa supergigante blu molto luminosa possiede un nome femminile di derivazione araba che significa verginità. Anche se, più in generale, può alludere al coraggio auspicato dall'artista di addentrarsi fra i meandri della propria psiche per ricercarne una visione più intima e autentica.

Poiché le costellazioni ospitano stelle variabili, soggette a oscillazioni di luminosità, risulterebbe impresa alquanto difficile cercare di riprodurre un oggetto celeste con una certa fedeltà al reale. Pertanto, le cromie stese sulla tela da Valeria Ferrari sono fondamentalmente simboliche e riconducibili, per dirla con le parole espresse per la personale barese Archetypo del novembre del 2016 da Nino Tricarico, a «una luce che è immaginativa e di natura sensibile [...]. Una luce che diventa categoria del sentimento in contraddizione dello spazio come categoria dell’esperienza».