Moggia Michelangelo

Guardando i quadri di Ilaria Vanni non posso fare a meno di pensare al puntinismo di Georges Seurat e Paul Signac, così come anche, allontanandomi di qualche decennio, alle immagini di Gustav Klimt, almeno da un punto di vista stilistico. Il motivo ricorrente dei puntini di colore appaiati che si compongono nell’occhio dello spettatore è uno dei tratti distintivi di Ilaria Vanni, così come anche l’utilizzo di foglie d’oro e il ricorso ad effetti decorativi assemblati in una sorta di patchwork, che ricordano la finezza e la preziosità dell’art nouveau degli inizi del secolo scorso. Oltre a questi richiami stilistici più o meni espliciti all’arte del passato ci sono alcuni elementi del tutto originali che rendono questi dipinti particolarmente gradevoli: l’atmosfera sognante, i frammenti di ricordi, di momenti intimi, piccole e grandi emozioni che l’artista condivide con chi entra in contatto con le sue opere, pur senza conoscere nel dettaglio le storie che vi stanno dietro. In fondo poi non è nemmeno così importante sapere tutto per poter assaporare queste immagini luminose e coinvolgenti, dove si fondono ricordi di vita familiare, paesaggi fiabeschi, momenti di intimità, scampoli di sogni, filtrati da questo stile piacevole e decorativo. Il modo migliore per entrare in sintonia con questi dipinti e apprezzarli nella loro pienezza è lasciarsi suggestionare dalle immagini, dimenticando le geometrie e le coordinate della visione del mondo reale così come lo conosciamo, per entrare in un ambiente e in uno spazio del tutto diversi plasmati dalla fantasia oltreché dal disegno e dal colore. Così facendo si può davvero entrare in sintonia con l’arte di Ilaria Vanni, perché ci sono sensazioni ed emozioni che non si possono descrivere e mettere nero su bianco. Del resto come diceva Edward Hopper: “Se potessi esprimerlo con le parole non ci sarebbe nessuna ragione per dipingerlo”.

maggio 2011

Michelangelo Moggia