Giulio Malaostia
Osservando le opere di VINCE, viene in mente un libro di Gabriele D'Annunzio “Le Faville del Maglio”.
L 'espressione faville del maglio, sta ad indicare le scintille che sprizzano durante il lavoro del poeta fabbro, poeta-artiere (alla Carducci, rivisitato), sottolinea l'aspetto residuale di queste prose, quasi scampoli preziosamente infuocati di un'arte più grandiosa, spesso momenti di riflessione su quell'arte stessa, cioè materiali metaletterari, o resoconto di abbozzi, frantumi di organismi potenziali.
Così come per il D'Annunzio, affascinato nel suo ultimo periodo di opera letteraria dalla potenza creatrice della materia, le opere di VINCE partono dalla materia per arrivare alla prosa.
L'artista-artiere, o meglio, artista-artigiano per usare parole più attuali, innesca il meccanismo caleidoscopico della sua arte partendo da oggetti e da materiali della quotidianità, intessendoli assieme per creare una nuova struttura che esce dalla tela come una mano che ti afferra al collo per trasportarti in un nuovo mondo, un mondo plasmato dalle mani dell'artista, una Interzona per dirla con le parole di William Burroughs dove gli oggetti ed i materiali del quotidiano vengono spogliati della loro essenza per essere rivestiti di nuovi significati.
In questo Non Luogo sensoriale, il piombo perde la sua pesantezza e si fa lenzuolo ondulato come scosso da brezze alisee di vento, il catrame si fonde con la tela, la canapa e la carta; sintetico ed organico vengono cuciti assieme per farci assistere stupiti alla nascita di un nuovo essere, una nuova esistenza, VINCE come un moderno dottor Frankenstein che infonde la vita, espressa come movimento, là dove prima c'era soltanto assenza, freddo.
Lo spettatore che si trova di fronte ad un opera del suddetto è invogliato, incuriosito e quasi obbligato a toccare quel materiale che fatica a riconoscere, a ricondurre a precedenti esperienze sensibili. La forza della materia esce dalla tela e come un abbraccio incatena l'osservatore al suo cospetto, sussurrandogli nell'orecchio dubbi sulla veridicità della visione.
Le faville del maglio di VINCE attraggono, incuriosiscono, illuminate quasi di vita propria.
Un bullone, una vite, dei filamenti di saldatura, il legno ed il catrame vengono privati della loro utilità quotidiana, non vengono adesso usati per creare oggetti specifici per l'uso quotidiano o per far parte di opere strutturali o edifici, attraverso le mani dell'artista perdono la loro utilità e, come ci ricorda Wilde, diventano assolutamente “inutili”, diventano Arte.
L'arte che perde la sua “utilità” cessa di essere in concorrenza con la Natura, smette di emularla per diventare sperimentazione e ricerca, nuova vita e non più perfetta copia.
La luce spesso è estromessa dalle opere di VINCE. Il buio e l'assenza sono i sovrani indiscussi di queste notti senza luna che ammantano lo spettatore e lo portano a sedersi sull'orlo dell'abisso per godersi un'alba post-industriale fatta di ferro, acciaio e piombo tenuti assieme da un collante nuovo, forse ancora imperfetto e germinale ma estremamente efficace.