Carmine Ferraioli
EMPIREO
Considerazioni sull’artista, sulla sua arte e sull’opera
“La Famiglia”
Dietro questi freddi e sintetici dati, c’è un artista, Vincenzo Empireo: Un uomo “umanissimo” che ama definirsi “terrestre” per quel suo appassionato e ancestrale attaccamento, quasi cordone ombelicale mai tagliato, alla terra, alla “matre Terra”.
Un uomo che lavora con e nella terra con la forza interiore e fisica dell’homo faber e l’intelligenza, l’acume e l’intuito dell’homo sapiens e che utilizza ancora, in gran parte e volentieri, per non perdere il rapporto con la terra, appunto, mezzi e strumenti che sono considerati obsoleti dalla moderna metodologia. Il nostro bassorilievo, infatti, come moltissime opere di Empireo, è nato dalla e nella nuda terra: non si tratta di metafora: Empireo ha scolpito nella terra e con la terra “ La Famiglia”; col gesso, versato sopra, ha ottenuto la copia in negativo; poi vi ha colato cemento, debitamente rinforzato con ferro, ottenendo l’opera che, in seguito, è stata definita e perfezionata con martello e scalpello.
Un uomo che con la terra e dalla terra estrae, compone e produce manufatti che sono sempre arte di ottima fattura e di alto significato lirico- estetico per quella singolare capacità di comunicarci realtà che attingono e appartengono alla sfera del metafisico, dell’ideale, del metastorico senza mai cadere nel laccio della tentazione dell’onomatopeia (il termine è da riferire qui, ovviamente, alla scultura), dell’imitazione, del descrittivismo e dell’opera “a programma”.
Un uomo che reputa la terra non solo “matre” perché “ nè sostenta e governa” ma anche perché ci dà gli elementi, che meno elaborati sono, nonostante la loro ruvidezza, più sono genuini, freschi ed efficaci nell’economia del discorso artistico, per esprimere le categorie del bello.
Un uomo che ritiene sterile il lavoro se non è gesto d’amore e di solidarietà perché “Ogni anima grande si è manifestata coll’arte, e nessuna di esse ha potuto sottrarsi al dominio dell’amore”, secondo nel “Lorenzo Alviati”.
Un uomo che ama l’arte con la stessa intensità con cui ama l’umanità o, se si preferisce, ama l’umanità con lo strumento e il dono dell’arte (“Non c’è vero amore per l’arte senza aver amore per l’umanità”, scriveva Horn).
Un uomo straordinario che sembra calato in questa nostra realtà, spesso troppo convulsa, da una misteriosa e chiarissima volontà magisteriale per invitarci a fermare il tempo, anche se per poco, e indurci a riflettere e ad agire per principi e non per istinto o per abitudine o per convenienze.
Un uomo apparentemente un po' triste, ma sempre pacatamente sereno, perché vive di arte che impegna e colora la sua vita.
Un uomo sempre occupato nel suo lavoro creativo tanto da sembrarti assente dal raggio della tua presenza e invece ti ascolta e ti ama, a suo modo, innalzandosi per te a piani a te poco familiari, ma per te indispensabili.
Un uomo che, fisso nel tempo fermo dei ricordi, dell’introspezione, dell’osservazione, della riflessione e della contemplazione, scopre, trae fuori per noi e ci comunica, con fatica e naturalezza allo stesso tempo e con risultati di ordine linguistico-estetici sorprendenti per trasparenza, sincerità, limpidezza, linearità apollinea, con quegli eloquenti tratti grafici armoniosi e, insieme, duttili e forti, ricchi di atmosfere, con ritmi e con figure che rievocano, per ispirazione, l’arte dell’antica Grecia o l’arte romano-pompeiana, con quel puntiglioso senso dell’indagine e di attenzione alle realtà sociali, i tratti e gli atteggiamenti profondi, essenziali e fondamentali, la vocazione umana, civile e religiosa della famiglia, come nel caso del grande bassorilievo da lui creato in questo 1994, Anno Internazionale della Famiglia.
Si tratta di un grande pannello-bassorilievo dal peso di circa quattro quintali, dalle dimensioni di cm. 115 x 175, in cemento armato, da cui cinque figure emergono dal fondo soprattutto per effetto di luce.
Allo scopo di chiarire subito i connotati, le convinzioni e le collocazioni culturali di Empireo e al fine di inquadrare e focalizzare meglio le idee che seguono, bisogna precisare che questo artista sembra collocarsi, criticamente però e in maniera personalissima, nel filone di un moderato formalismo. Pertanto Empireo cerca di allontanare dall’arte qualsiasi contenuto sentimentale e/o descrittivo.
Pertanto, la scultura, come le altre arti, pur linguaggi, ma particolari e diversi da quelli con urgenze denotative, non ha, per quanto attiene l’aspetto semantico o significativo, compiti denotativi, appunto! Le arti hanno significati grammaticale-strutturali, endogeni, autotelici, espressi nel razionale, armonioso, ritmico rapporto tra le parti, nella dialettica dei pesi, delle forme, dei chiaroscuri, dei ritmi, ecc. Si tratta dell’arte “pura”.
Ma questo non significa, per Empireo (e per noi) naturalmente, rinunciare all’impianto figurativo.
Per Empireo, però, che non si ferma ad un acquisto status culturale una volta per tutte e che, perciò, allarga non poco gli orizzonti della riflessione e della ricerca, ben sapendo che la verità non sta mai tutta da una parte e mai in una sola corrente di pensiero, l’arte attinge pure e sempre “alla sorgente intima dell’esistenza (Madame de Stael) e tenta di “cogliere il segreto del Creatore, penetrare il mistero della vita” (Idem), in un certo senso e per certi versi. E così, il nostro artista, assumendo i frammenti di verità dalle due correnti filosofiche appena accennate, per quel suo innato e altissimo senso del dialogo, per quella sua spiccata urgenza etica e per quella sua ostinata volontà di essere eticamente provocatorio, quasi senza volerlo, allarga i pensieri e i discorsi e dirotta l’arte sui binari dell’offerta di valori umani, religiosi e sociali che dal Creatore e dalla vita attingono le ragioni del loro essere ed esistere.
Pertanto, il magistero di Empireo non è solo di ordine culturale ed estetico, ma anche etico e sociale, metastorico e metafisico.
Empireo, dunque, propone e offre un’arte che “commuove” (movere cum), interpella.
Ma dietro questa conquista di Empireo, c’è il lavoro, un lavoro continuo e senza soste! Il nostro artista nella sua “cella segreta” studia. E alle spalle di quest’azione e di questo impegno, indispensabile e fondamentale per tutti gli artisti seri, c’è il lavoro di bottega, l’esperienza paziente e artigianale, la ricerca tecnico-espressiva.
Empireo vive così, “lentamente”; ma vivere lentamente non è affatto facile e non vuol dire fermare il tempo o segregarsi dalla vita o evitare il dibattito o rinunciare alla ricerca; vuol dire pensare, studiare, trovare, scoprire, rinverdire e proporre motivi metafisici, eterni, profondi e imbrigliarli nel ritmo del linguaggio dell’arte; ritmo che, come nel caso del nostro bassorilievo, con quelle forme scandite e proporzionate e abbracciate saldamente nel e dal ritmo, appunto, abolisce e supera le regole grammaticali e stilistiche del linguaggio specifico della scultura e diventa anche musica da vedere.
E la ricerca di Empireo, avviene nella più francescana semplicità e nella più totale libertà, come abbiamo già accennato. E’ libero, Empireo, da nebbie intellettuali e da viziosi stilemi, per cui respira a pieni polmoni e ci comunica l’aria pura ed entusiasmante della scoperta delle cose semplici e profonde e ci fa sentire in esse il battito pulsante della vita e ci fa toccare con mano di essere costruttivamente e vitalmente presente nella grande ricerca e nel grande dibattito dell’era presente.
Artista per vocazione e da sempre.
Artista di sicuro talento, di forte personalità e di solida e non appariscente cultura. Infatti, “Li homini piccoli sono la maggior parte più docti che li grandi e la ragione è questa: perché hanno il capo più appresso il core”, dice Spataro.
Artista umile, schivo e appartato, che coniuga forza espressiva e delicatezza cromatica, mentre padroneggia con chiari e rari risultati le spinte della forza della materia con la sicurezza, l’abilità e la semplicità del vasaio.
Empireo, insomma, possiede un alfabeto segnico imparato e sperimentato fin da bambino e, man mano, affinato che gli permette frasi e discorsi continui e armoniosi, asciutti ed essenziali, ma mai generici o accademici, leziosi o salottieri.
Accennavo sopra al richiamo dell’arte di Empireo all’arte dell’antica Grecia e dell’antica Roma e Pompe e Wiligelmo, Antelami, ecc. fino ai nostri giorni, perché nell’arte di Empireo è racchiusa buona parte dell’esperienza artistica, debitamente e originalmente personalizzata, del passato e del presente. Inoltre questa operazione stilistica e culturale non è da interpretare e da intendere come evocazioni calligrafiche o virtuosistiche tout-court, naturalmente e come è da aspettarsi, visto la personalità umana e culturale di Empireo. Se “La storia dell’arte è la storia di forme inventate contro le forme ereditate” (Malraux), Grecia, Pompei, Romanità, ecc. sono per Empireo solo dei classici da frangere e da frantumare, per ricavarne l’intima essenza tecnico-espressivo-estetica e da divorare sempre e continuamente, perché classici, appunto; perciò l’arte di Empireo espressa nel nostro bassorilievo sembra divorata soprattutto dall’arte greca, romano-pompeiana e romanica e riposare, come figlia nelle braccia della madre, in esse. Nella pacata personalità, nell’ampio bagaglio culturale e nella storia genetica di Empireo le tracce di quelle civiltà e di quelle culture sono chiaramente e profondamente presenti.
Empireo parte, per dar corpo e vita alla sua scultura, da un religioso senso di riverenza alla sua più riposta e gelosa intimità storica, umana e culturale; il suo viaggio-studio-ricerca ha come punto di origine la sua vita interiore, l’interno della sua memoria ancestrale e storica; e da lì, come da una torre, con certosina pazienza e lentezza laboriosissime, recupera alla coscienza frammenti di storia e principi e valori assunti, purificati e trasformati, dal cristianesimo.
Una trattazione a parte, poi, meriterebbe l’impianto figurativo dell’arte e del bassorilievo di Empireo. Però la cosa è da intendere nella prospettiva di una ricerca dell’evidenza immaginativa di un pensiero, di una sensazione, di una filosofia, di un modo di concepire la vita e di intendere e interpetrare la realtà, nella prospettiva di una profonda e affascinante introspezione lirica pregna di sentimenti che riempiono lo spazio dell’esistenza di Empireo e del fondo delle sue opere.
Una figura chiara per intensità di luce naturale;
una figura imponente nella semplificazione plastica e che si staglia dal fondo, col quale tuttavia si mantiene in un rapporto dialettico;
una figura che diventa ancora più umana e “terrestre” per quel colore scarno e di un effetto visivo persuasivo sul visitatore;
una figura che procede, non solo per il colore, per scale cromatiche;
una figura vibrante e carica di energia;
una figura depurata da ogni scoria provinciale e da inutili scrupoli documentaristici della tradizione meridionale o da salottiera postura o orpelli di moda;
una figura dolce, carezzevole, umile, ricca di valori umani, e pure data con forza, determinazione e chiarezza michelangiolesca.
Che Empireo, nel bassorilievo in particolare, è vitalmente legato soprattutto ad alcuni specifici e chiari aspetti dell’arte greca e romano-pompeiana, ma con sfumature e caratteri e con una concezione personalissimi e originalissimi (come si è detto), è dimostrato da una caratura virile e umile, solenne e “dorico” della sua produzione, evitando con cura all’opera caratteri sensuali e snervanti che offuscano la ragione e impediscono l’ascesi purificatrice verso l’intellegibile.
Il bassorilievo ci offre un’arte collocata su un piano di assoluta purezza, al di là di ogni passione, e che si libera dalle maglie pesanti e corporee del piacere edonistico per situarsi su un piano di razionalità e moralità e per rivelarsi, così e perciò, “seria e partecipe del vero”. Si tratta, allora, della medioevale “moralitas artis”. Però non siamo sul piano di una concezione strumentale dell’arte che le toglie ogni autonomia espressiva; si tratta, piuttosto, di prolungare il discorso e allargare gli orizzonti della concezione dell’arte fino a darle intenti e consegne anche di ordine etico.
Si tratta di un’arte capace di messaggi e provocazioni educative, di un’arte tesa a temprare l’animo, avvicinandolo alle armonie dell’invisibile, del metafisico e del metastorico.
Quindi Empireo è formalista solo in un certo modo; anzi, pur accettando questa concezione, la frantuma, la divora e la porta a servire il suo ideale di arte infatti, per Empireo l’arte, con le sue leggi, può e deve arrivare a diventare strumento di conoscenza ideale, è significativa di rapporti puri e razionali ed è mediatrice di un processo di liberazione dal sensoriale.
Quindi, l’arte di Empireo ha fini catartico-salutari (come per Aristotele), agisce sull’uomo e lo purifica.
Inoltre, l’impianto figurativo di Empireo esula e si allontana anche dall’assioma classico dell’imitazione della natura (“Ars imitatur naturam, in quantum potest” Aristotele, “Phisic” lib. II), ove per natura pur s’intendeva, all’inizio, ragione, verità (che è obiettiva verosimiglianza al reale con un’arte permeata di pensiero) e, poi, anche sentimento, passioni.
Tanto meno, poi, Empireo accetta l’arte come una sorta di completamento o perfezionamento della natura (“Ars multa complet, quae natura perfice non potest” -Aristotele, “Physic.” Lib. II; e “Ars supplet defectum naturae”, Averroè). Empireo non accetta un’arte come imitazione tout-court della natura (Edgar Allan Poe scriveva in “Marginalia” che “L’imitazione della natura, per quanto esattissima, non permette a nessuno di prendere il sacro nome di artista…”): la qual cosa mondanizzerebbe e chiuderebbe, travisandoli e riconducendoli, i grandi principi metafisici negli angusti steccati del naturale e del fisico. Ecco, allora, spiegato anche perché l’impostazione figurativa del bassorilievo di Empireo comunica un non so che riguardante la sfera dell’ascetismo e della spiritualità più genuina e trasparente. La verità è che Empireo, al pari dei grandi artisti, ci dona un’arte che non si lascia rinchiudere nella copia, nel reportage, ecc. L’arte deve manifestare un ordine trascendentale; ed Empireo vuol far apparire in questo mondo, un altro mondo, fatto a immagine del suo desiderio del soprannaturale e a immagine del soprannaturale che può essere raggiunto solo da chi si incammina sulla strada di una profonda e convinta ascesi, ed è così che Empireo, nel suo bassorilievo, dà forma all’invisibile e ai grandi valori insiti nell’ideale famiglia umana e cristiana, mentre ci fa pensare (perché la sua è veramente arte) che gli artisti non abitano lontano e che la grande arte non è il bel tempo dietro le nuvole dai secoli.
“Dovunque, in qualunque epoca gli stili del sacro (e l’arte di Empireo, come la vera arte, aggiungiamo noi, è sempre tale, anche quando al superficiale appare decisamente profana, perché attinge sempre alla sfera del metafisico) si rifiutano di imitare la vita, esigono di metamorfosarla o di trascenderla. Essi vogliono che la relazione delle forme delle loro opere sia ‘altra’ da quella della vita” (Malraux).
Empireo strappa, come il rito, la famiglia alla sua precaria e contraddittoria esperienza umana e storica e così, con una poetica tutta personale modifica le forme del sensibile per iscrivervi in profondità il volto della realtà sognata e scoperta nella riflessione, nell’intuizione, nell’ascesi.
“Le arti – scrive Scalvini- sono una imitazione, ma di un tipo che è dentro di noi”; e lo stesso aggiunge “Le arti imitando gli oggetti esterni, tolgono loro ciò che hanno di perituro e di passeggero. Esse imitano la vita, ma una vita ideale che danno loro, non la nostra”.
Empireo, allora, con la sua opera, ci comunica un messaggio spirituale; e il messaggio, che è spirituale e non terreno e umano, non può manifestarsi a noi se non in una apparente “rottura” dell’ordine naturale.
(Anche il Verbo di Dio irruppe nel mondo operando una “rottura”: “Fate penitenza…” ; “Beati quelli che piangono….”; “Chi perde la sua vita la salverà…”, ecc.).
Perciò le figure della famiglia del bassorilievo di Empireo, legate e circondate da un chiarissimo ed eloquentissimo cerchio d’amore che rende tutte e tutto “un cuor solo e un’anima sola”, strappate al profano e al naturale, si presentano in atteggiamento rituale, ieratico e deformato; ì volti hanno il peso e l’età della vita e dell’amore, mentre il silenzio le fascia di involontaria, naturale, congenita solennità. E’ per la “rottura” per l’ordine e la logica naturale e di cui si è detto. Si tratta, insistiamo, di “rottura” col naturale, di “rottura” che è manifestazione di qualcosa che appartiene alla sfera del sacro. Insomma, Empireo, con evidentissima chiarezza, persuasione ed efficacia, evidenzia la “rottura” tra profano-natura e sacro-arte.
Empireo, quindi, non si accontenta della natura, né può accontentarsi di essa per esprimere il mistero, il sacro, la sacralità della famiglia, ì profondissimi valori espressi dalla famiglia veramente umana e cristiana che, “piccola Chiesa domestica”, nell’esercizio dell’amore tra i componenti rende presente e visibile il grande, misterioso e amorosissimo rapporto tra Cristo e la sua Chiesa, tra Dio e l’umanità.
Empireo, in un certo senso, evoca per noi la “nuova creazione” che l’uomo redento spera di vedere, costruendola nel quotidiano con Cristo e già in questa terra, nella sua totalità.
Quindi, questo bassorilievo rappresenta un lascito di vita, un’esperienza vissuta attivamente e assorbita intellettualmente e spiritualmente, mentre il suo autore recupera dalla sua personalità artistica gli elementi e i principi estetici, antropologici, sociologici, teologici e filosofici che formano l’universalità dei valori della famiglia per restituirli a noi, con la sua peculiare e sempre personalissima forma poetica raffinata ed elegante, ma mai accademica.
La presenza discreta, ma in primo piano, dei personaggi del bassorilievo, solenni e decisi nella loro postura, duri e forti come pietra (e che fanno quadrato e si stringono, quasi un’antica fotografia di un caro album di famiglia patriarcale, intorno alla vita e all’amore), sembra spinta all’esterno per intercettare la realtà familiare e richiamarla al suo originario stato e vocazione. Il bassorilievo, così, passa da oggetto di osservazione a soggetto osservante; l’immagine guardata si trasforma, a sua volta, in sguardo che intende giudicare e organizzare la realtà umana e dargli senso alla luce del metafisico. E questo invito, fondamentale per l’esistenza della famiglia di una società veramente moderna e fondata sugli eterni valori metafisici e antropologici, è rivolto essenzialmente (ma non solamente, questo è ovvio) all’uomo del Sud di questo Paese, a quest’uomo, attore di natura, che ancora una volta non sembra sfuggire all’inganno della sua atavica e beffarda vocazione alla recita storica, recita che ha per deleterio canovaccio una effimera antiumana emancipazione, sfaldando o rinnegando la famiglia e i valori che la sostengono e le danno senso e ragione d’esistenza.
(Sanno bene gli studiosi di discipline sociali e di pastorale che oggi divorzi, separazioni, convivenze, ecc. sono di moda e il simbolo di uno stato di emancipazione).
Empireo, invece, racconta la storia e la vocazione della famiglia come voluta dalla natura e dal Creatore. Si tratta, però, di una storia non letta con distacco, con passività, con la freddezza dell’intellettuale che vive nel suo mondo dorato e appartato, di una storia non memorizzata artificiosamente e altrettanto artificiosamente riespressa nel prodotto artistico. Si tratta, piuttosto, di una storia avvertita come elemento ancestrale e come memoria remota, i cui lineamenti, attinti dal metafisico, sono vivi e palpitanti ed espressi con un linguaggio eloquentissimo per l’essenzialità.
Una scultura, quella del bassorilievo di Empireo, monocorde ma non statica o monotona; essa si protende in profondità, scava, tira fuori cose vere e universali e le offre (squisito dono e gesto d’amore), con ritmo pacato, scandito lentamente, allo spettatore-interlocutore che viene garbatamente invitato alla lettura meditata e all’ascolto attento.
Nell’opera in questione, poi, Empireo dimostra una rara sensibilità in quella profonda, commovente e accanita analisi del soggetto, delle relazioni tra le figure e tra queste e il fondo, per cui le figure, che sembrano isolate e autonome, sono collegate da un misterioso e arcano sentire comune reso concreto da pochi, essenziali colori (umanissimi colori) che evidenziano ancor più la forza espressiva dell’opera e la carica emotiva delle figure.
E’una scultura attaccata al fondo dal colore; però le forme e le figure sono solo apparentemente statiche e silenziose. Si potrebbe dire della forza espressiva di questo bassorilievo quello che Sartre diceva della musica “Una bella muta dagli occhi espressivi”. Certo, tutto è disposto sul fondo, nessuno si muove, ma quanta forza, quanto movimento, quanto squillante silenzio comunica a noi, dentro, questo bassorilievo fermo e silenzioso solo in apparenza con quelle figure che sembrano senza peso e fuori dalle categorie del tempo e galleggiare come in uno strano acquario (nonostante quella nettezza di contorni e di particolari) composto dal rosso del campanile, dal verde della vegetazione della montagna, dell’azzurro del cielo e del mare e tutte unite da un importantissimo, efficacissimo filo unitario: l’Amore.
Cinque figure nel pannello; figure dolci (quanta umana dolcezza, ad esempio, unita ad autorevolezza e sicurezza materna, quasi una familiare e domestica investitura e consegna alle nuove generazioni, in quella robusta mano di donna posata sulla spalla della bambina), solenni e semplici, umili e misteriose, nate e venute da una arcana e lontana crepa del tempo e che ci parlano di amore e di solidarietà e ci rimproverano, con pacata familiarità, la nostra incapacità di amare perché appannati e appesantiti da un Vangelo che abbiamo interpretato, annacquato, piegato alle urgenze umane, mentre andava assunto, come il carattere delle figure, francescanamente, “sine glossa”. Esse invitano, con trascendentale pazienza, a un dialogo nel e di silenzio sul cui altare si consuma la nostra catarsi interiore e sociale