Avarizia
Descrizione
Opera d'arte digigrafica unica, corredata da relativo certificato d'autenticità e firmata in originale (sul fronte e sul retro) dall'autore. Fa parte della collezione “Seven”, che è composta da 7 (sette) opere d’arte digigrafiche. La stessa è stata realizzata con tecnica mista su "foglio Fabriano pittura" 400 g/m² nel 2021 e, successivamente, nel 2022, stampata su carta Epson Fine Art Cotton Smooth Bright 300 g/m². L’opera digigrafica misura 100 cm x 100 cm. Il certificato di autenticità costituisce il diritto di proprietà del solo esemplare in oggetto. Tutti i diritti d’autore dell’opera sono pienamente e unicamente mantenuti da Francesco Mappa. L'autore si riserva il diritto di riprodurre l’opera sotto forma di articoli promozionali, libri o filmati; queste riproduzioni sono volte ad aumentare il valore dell'opera d’arte digigrafica.
La prima testimonianza scritta dei peccati capitali, in ambito filosofico, si deve ad Aristotele che, in uno dei suoi scritti, li definì come gli ‘abiti del male’. Questo perché i peccati, o meglio, i ‘vizi’ capitali, fanno riferimento alla tendenza (propria di alcuni esseri umani) a ripetere sistematicamente determinate azioni e ad assumere specifici comportamenti in alcuni contesti dell’esistenza. La reiterazione nel tempo di tali atteggiamenti fa sì che l’azione abitudinaria diventi vizio, ossia finisca col diventare per l’uomo che la compie una sorta di abito, che anziché essere di stoffa, è confezionato con azioni ed abitudini. A differenza delle abitudini virtuose, però, nel caso dei peccati capitali, la ripetizione costante di alcuni comportamenti non determina una elevazione dello spirito umano ma, al contrario, un suo affossamento, essendo i vizi in sé di inclinazione negativa. La prima vera classificazione dei peccati capitali fu redatta da due monaci che, con modalità diverse, ne stabilirono definizioni e possibili rimedi. Il primo monaco fu Evagrio Pontico che si occupò di classificare i vizi capitali e, al contempo, individuò una serie di strategie per eliminarli. Secondo la sua classificazione, i vizi capitali sarebbero stati originariamente otto: lussuria, gola, tristezza, accidia, avarizia, vanagloria, ira, superbia. La tristezza e la vanagloria, in un secondo momento furono accorpate rispettivamente all'accidia e alla superbia. In epoca illuminista, la riflessione sulla classificazione e sulle modalità di eliminazione dei vizi capitali andò scemando, in quanto, in piena espansione economica e commerciale, anche i pensatori si orientarono in quell'ottica di pensiero propriamente materialistica per cui il vizio, analogamente alla virtù, è in sé un’inclinazione dell’anima capace di orientare il mondo verso un interesse economico.
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