Omaggio a Teresa Pittiani

di Vivian Narduzzi

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Descrizione


Se Teresa Pittiani fosse esempio di virtù o no, non lo sapremo mai. E mai sapremo se fu davvero una vittima innocente o una balorda avvinazzata. Tant’è che la sera di domenica 12 novembre 1882, la donna si trovava in compagnia del marito Valentino Collavino, a bere in un’osteria di San Daniele. I coniugi, che abitavano a Muris di Ragogna, si trattennero al tavolo fino a tarda notte per poi incamminarsi verso casa barcollanti come birilli. Un’impresa a dir poco titanica nel buio di una notte senza luna, considerando il tasso alcolico, il gelo e la distanza. E fu così che i due, qualche passo ora indietro, ora in avanti, raggiunsero la casa di un amico comune, certo Pagnutti, nei pressi del lago di Ragogna, decidendo per una sosta. Il Pagnutti fu svegliato da un putiferio di pugni alla porta, singhiozzi e sghignazzi, ma da qui in poi la dinamica degli eventi è confusa e la verità si fa evanescente come i fumi dell’alcol. Stando alla testimonianza del Pagnutti, la Teresa sembrava più spaventata che ciucca, tanto da non voler continuare la strada per timore d’esser “battuta” dal marito. Motivo? La gelosia furibonda del consorte. Di chi? Non ha importanza: per le anime mancate una ragione vale l’altra pur di avvelenare l’esistenza di chi vive loro accanto. È la meschina rivalsa nei confronti di un nemico cercato ovunque, fuorché in se stessi. Ma nonostante le suppliche della donna, i coniugi si rimisero in marcia. Non trascorsero cinque minuti che il Pagnutti udì la Pittiani gridare aiuto. Precipitatosi lungo la strada, vide il Valentino percuotere brutalmente la moglie e fuggire, ombra tra le ombre, alla vista dell’amico. La Teresa se ne stava lì, in ginocchio e a capo chino, con il naso sanguinante e il pianto disperato, ma sommesso di chi è abituato a tener nascosto il dolore. Ringraziò l’amico, ma persuasa che il peggio fosse passato, lo invitò a rincasare senz’altra tema. E così avvenne. Poi, straziata, si fece forza riprendendo il cammino.

Attorno al lago, il paesaggio aveva qualcosa di sinistro e remoto, una notte da lupi mannari se in cielo avesse brillato il disco della luna. Ma a un bevitore come il Valentino non serviva un plenilunio e un’atavica maledizione per diventare bestia feroce, era sufficiente un quartino di Ucelùt ed ecco che, sbucando dalla boscaglia come un demone della notte, balzò addosso alla moglie lanciandole una raffica di cazzotti al volto. Poi la trascinò nell’acqua dove, a più riprese, le trattenne la testa sotto. A ogni boccata d’ossigeno, seguiva un pugno e una bestemmia. A quel punto, sebbene di tempra fenomenale, la miserabile perse i sensi e il marito la lasciò cadere a terra come un inutile fardello. Andandosene a dormire. All’alba, però, a svegliarlo non fu il gallo canterino, ma i militari dell’Arma e il suo tragico destino.

Il cadavere della sciagurata Teresa Pittiani, infatti, fu rinvenuto nel fango da una paesana, certa Fabbiano che, al corrente del carattere violento del Collavino, non ebbe esitazione alcuna a denunciarlo. Il 27 febbraio del 1883 l’accusato sedeva alla sbarra della Corte d’Assise di Udine. Contro di lui e a sfavore della disperata difesa dell’avvocato Gio Batta Tamburlini, si presentò uno stuolo di testimoni, ben ventotto. Il ritratto della vittima fu dipinto a tinte tenui e delicate e al marito sciagurato furono affibbiati 16 anni di lavori forzati. —cit. Messaggero veneto articolo di Lucia Burello

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