PRESEPE SU DISCO VINILE ANTICO .
Descrizione
Idea e contenuti delle nuove opere di
Nicola Franceschini
Nella sua ultima serie di opere, questa
volta caratterizzate da un supporto piuttosto inusuale, come può essere un
vecchio disco in vinile, un tempo noto anche come 33 giri o LP (long
playing) l’artista partenopeo Nicola Franceschini prosegue il suo percorso di
ricerca tutto impostato sull’innovazione della tradizione pittorica napoletana,
a conferma di una coerenza stilistica che ha saputo esprimere in ogni aspetto
della sua versatile produzione artistica, coniugando sovente l’elemento
concettuale con i contenuti storici e culturali dei suoi dipinti. In tale
ottica è certamente da interpretare la scelta di Franceschini di presentare i
suoi nuovi lavori su una base di forma circolare che, oltre a richiamare alcuni
tipi di gouache che tanto hanno contribuito alla diffusione della pittura di
paesaggio del terzo e quarto decennio dell’ottocento a Napoli, meglio nota come
Scuola di Posillipo, assume anche un preciso significato simbolico che
s’identifica nella circolarità stessa e nel materiale del quale è costituito il
supporto. L’idea che scaturisce da una simile combinazione tra un oggetto
riconvertito a nuovo uso, e una rappresentazione pittorica che ripropone, sia
pure attraverso una personale rielaborazione creativa dell’autore, alcuni
modelli di raffigurazione che appartengono alla nostra memoria, ci lascia
intendere come in realtà la storia presenti sostanzialmente un andamento
circolare in ragione del quale nessun fenomeno del passato si esaurisce
completamente, ma riaffiora ogni volta in una rinnovata modalità funzionale che
l’estro d’artista deve contribuire a individuare e diffondere. Se il riutilizzo
del vinile, sul piano tangibile, invita a un trattamento ecologico dei materiali
industriali impiegati, attraverso forme di riciclo creativo di assoluta
attualità, sul piano ideale l’impiego di un prodotto del passato costituisce
anche il riconoscimento di tutti quegli oggetti spazzati via dal progresso, ma
che in epoche precedenti erano stati a loro volta introdotti dall’inarrestabile
evoluzione che contraddistingue ogni attività umana. Trasposto sul piano
pittorico, lo stesso principio ci lascia comprendere come qualsiasi ricerca
artistica non possa prescindere da una tradizione storica e culturale, anche quando
si manifesta nelle sue forme più innovative. Se nei primi decenni
dell’ottocento le vedute della città partenopea e dei suoi contorni
rispondevano anche a una nascente funzione promozionale della nostra terra,
specie presso i forestieri arrivati in Italia per il Grand tour, oggi riproporre la raffigurazione degli aspetti
caratterizzanti il nostro ambiente significa riscoprirne le potenzialità,
rinsaldare quel senso di appartenenza quale premessa fondamentale di un futuro
sviluppo sociale ed economico di un territorio di assoluta bellezza e valore
che oggi come allora rappresenta una forte attrattiva per le popolazioni
d’oltralpe.
La capacità di Nicola Franceschini è nel
riprodurre le atmosfere partenopee nelle delicate sfumature tonali che
proiettano la scena in una dimensione atemporale dominata da quegli elementi
naturali che le hanno rese celebri, ambientazioni nelle quali sono calati
oggetti di raffigurazione riconducibili alla nostra terra e ai nostri costumi, realizzando
particolari composizioni di paesaggi e nature morte davvero molto suggestive.
Come nelle sue opere del passato, anche nei
lavori più recenti del pittore Nicola Franceschini, che non manca di
rappresentare scene di natività, o immagini sacre, si scorge una forte
spiritualità che si sviluppa direttamente dagli ambienti ritratti, tra i quali
ritroviamo di frequente la dimensione cosmica quasi a ribadire la natura divina
del Creato la cui salvaguardia, anche attraverso l’esercizio pittorico, deve
essere compito di ogni buon cristiano, perché amare Dio significa anche amare
la natura che ci ha donato per nutrire il nostro corpo e il nostro spirito; apprezzare
la luce che dalla sua bellezza si proietta per offrirci pace e serenità; comprendere
che l’infinito ci appartiene in quanto creature di questo universo.
Prof. Domenico Raio
critico d’arte e scrittore
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