Annamaria Di Fabio

Tutti scavano. Sono costretti, e poi qualcosa si trova sempre. Un gancio, un piolo per la risalita, una sfumatura che ridà la speranza una luce che rompe la monocromìa.

E da li si riparte, da un punto sfocato e senza contorni. Una ricerca quasi continua, pochi intervalli, un moto che si avvia piano ed esplode spesso senza preavviso.

Carotaggi, perforazioni lunghe e dolorose, affondi nel molle. Più scavi, più ti crollano le pareti.

Poi lo squarcio arriva, però il segno resta. Fabio Valente ha scavato a lungo, ha lasciato che si mescolassero demolizioni e ricostruzioni.Che è importante sedimentare, ma anche lasciarsi andare, farsi cullare dal ritmo dei pensieri. Ondeggiare. Non aggredisce il “fondo”, lo gestisce, ne fa parte, lo vive.

I suoi acrilici sono leggeri, niente impeti, piuttosto riflessioni ad alta voce.

E’ delicato Valente, del lavoro necessario a sopravvivere, ne lascia una traccia lieve. Del lungo processo, solo un cenno scuro addolcito dal giallo, dal viola o dall’ arancio.

Ma la perforazione ha avuto la meglio sulla parete molle, la vibrazione può espandersi sull’intera tela e lasciare libero di ripartire, l’autore.

Intorno, il “moto” lento dai colori grigio-azzurri. Niente è fermo nei quadri di Fabio Valente, lo scavo ha lasciato il segno.

Ha fatto altro, conquistato altri spazi, prima di dare colore a quel moto lento, ma continuo, che ci accompagna dalla nascita. Lunghe ore a rimestare nel fondo, le idee impastate, addensate, proprio come quando non capisci più dove andare.

Fabio ha imparato a starci in quel fondo, sa che bisogna scavare per ripartire.