Flavia Mottolese
Sono vibrazioni mutevoli e luminescenti le pennellate di Fabio Valente. L’accento che colpisce maggiormente è proprio il timbro luministico che riesce ad imprimere alla materia pittorica: attraverso delicate gradazioni tonali o accesi scarti cromatici, sembrano trasparire bagliori che conferiscono profondità al dipinto e riescono a determinare un’idea di spazialità – interiore più che reale.
La prima fonte d’ispirazione è la musica, che l’artista utilizza per lasciar fluire liberamente il suo impulso creativo, cercando di abolire ogni inibizione psicologica ed attingere in profondità alle proprie emozioni. Da qui, la leggerezza con cui il colore si espande, in tutta la sua purezza, sulla superficie pittorica, come espressione di trascendenza ed attesa di assoluto.
Valente applica volutamente una totale smaterializzazione della figurazione per accentuare l’esperienzialità fugace del gesto pittorico e del momento in cui scaturisce. Superando ogni riferimento immediato al reale, racconta con immediatezza l’urgenza espressiva; la suggestione esercitata dalla musica in quel determinato momento – stato di grazia irripetibile – viene impresso sulla tela con tratti veloci e nervosi tipici dell’action painting. Altrove, invece, il segno fluido eppure reiterato, che richiama le trasparenze sfumate di Jules Olitski, segue un andamento soavemente armonico, traccia di un’emozione modulata sul ritmo della musica, lasciando scorgere una trama segnica simile ad una partitura. L’emozione esercitata dalla musica viene amplificata dall’artista, trova cassa di risonanza nell’anima e di rimando nel gesto libero che la esteriorizza.
Valente riesce a trasformare un’intuizione lirica subitanea in motivo visivo, la sua pittura astratta diventa testimonianza di una condizione dell’anima e l’opera stessa viene percepita come espressione originaria di un altrove imprescindibile perché misterioso.