Sergio Bottaro
Sergio Bottaro - Giugno 1998 -
Con la lunga e straordinariamente feconda vicenda della cultura segnica, che scorre quasi ininterrotta da Wols a Fautrier a Dubufet, Schumacher (Emil), e che nutre ancora gli esiti alti dell’informale, Fiorito ci presenta la “sua” concretizzazione della “materia”, le cui forme, attraverso la durezza, la ruvidezza, “il suo calore che seduce il colore” con “impensate meraviglie, che sono le recondite e irriproducibili impronte cui l’insulto del tempo l’ha marchiata”. Sono i tratti del tempo che marchia e di cui non si conserva una precisa memoria, ma che pur alita ancora sull’oggi. Queste sono le prime riflessioni che affiorano vedendo le opere che dal 9 al 23 maggio, Germano Fiorito ha esposto al Centro Buranello di Sanpierdarena (GE).
Forme visive non rappresentative, collegate alla nozione di struttura come principio d’organizzazione: architetture polimateriche. Estrarre dalla banale consistenza della materia per essere mutate in un messaggio poetico di autentica forza espressiva.
L’attività artistica non è affatto un processo di astrazione, ma al contrario – come asseriva Max Bill – una concretizzazione, ovvero, lo sforzo di di “rappresentare idee astratte in forma sensibile e tangibile”. La pittura di Fiorito è tratta dalla profondità individuale più libera e autonoma sia nella forma che nel significato; nel linguaggio figurale che non spiega ma trascina e commuove.
Fiorito considera il suo “lavoro come gioco, dove la materia svolge un ruolo primario. Lavoro come ricerca e scoperta dove fare e rifare è la regola del gioco, dove il progetto è in balia di qualsiasi sorpresa e il risultato va colto nell’attimo.