A. M. Ripellino, Eden di Riccardi, Roma, L’Espresso, 1973.

Tutte quelle luci che inseguivano in prospettive diverse, anche verticali e si rimandavano l’insensatezza del loro vuoto, come in un reciproco ed ebete barbaglio di specchi, davano fiato illusorio a un incubo di claustrofobia che indicava l’Eden di Gian Carlo Riccardi. Ecco negli spazi, ricrearsi il luogo chiuso, la cella, la prigione, il labirinto pittorico d’un regista visionario. Si viaggia ai limiti dell’utopia, dominio sui cui fantomatici orizzonti lo sguardo del giovane autore si appuntava, probabilmente fin quando, dalle ribalte, frugava nel buio alto delle platee, oltre i muri dei sistemi e delle strutture di sempre.