A. Moravia, L’Arte di Gian Carlo Riccardi, Roma, L’Espresso, 1988.
L’esperienza intera di Gian Carlo Riccardi ha questo forte e radicato fondamento: la necessità di ritrovare (il fine di restituire, sia pure per un momento e nel tempo e nello spazio speciale della finzione) quella condizione particolare e magica, nella quale anche il gesto minuto varca la soglia della strumentalità per caricarsi di echi sacrali, e non v’è più discriminazione tra la presenza a sé o la coscienza del mondo e la surrealtà che l’immaginazione promette e produce, né più v’è distinzione puntuale e selettiva tra la regola e il caso, l’ordine e il disordine. La condizione che è stata dell’infanzia.