M. Lunetta, La stanza dei miracoli, Presentazione in catalogo, Frosinone, 1996.
Aperta come un’arteria resecata dal bisturi, chiusa come un bunker, come una garitta una cellula spaziale, aperta come una voliera impassibile e sfrecciante, come una galleria al vento, chiusa come un carapace un’urna cineraria provocata dalle brezze, chiusa, richiusa in una notte invasa dal mattino, nel fuoco di una luce sincopata, aperta come un cortile uno spazio della mente aritmetica collerica ferita, immersa nel gorgo repentino della sua pace impossibile, sotto lo stress del colore carnivoro celeste, dell’ardente capriccio geroglifico che non s’acquieta che non cessa che non cessa il suo vortice vertigine. Chiusa come un lucchetto di cemento bianco, di lamiera, di tubolari metallici, corazza difensiva in proiezione di futuro nella pietra e nella carne, aperta come qualcosa che si stenta a comprendere, di cui si nutre qui nella piazza dell’acropoli solare l’enormità l’aroma la cinetica fossile del sogno e il suo contrappasso: questa, e nient’altro è la stanza planetaria, la tagliola poetica della Stanza dei miracoli, che addenta lo sguardo di chi guarda e lo trasforma in desiderio.