Sergio Amidei
È all’opera d’arte, quindi che torniamo, alla ricerca della sua identità. Di essa sappiamo, a questo punto, che non è soltanto rappresentazione di un linguaggio, che non è solo proiezione dell’autore, né l’esito di un progetto linguistico. Nel caso di Gian Carlo Riccardi, non è cosa né oggetto, è soltanto un rigoroso meccanismo di essere al mondo, un modo originale che rompe l’atavico silenzio dei “giorni”. In un certo senso è nell’opera che trova luogo la “memoria” perché proviene da quello spazio assoluto e insondabile che rappresenta l’archetipo del vivente. E dalla memoria dai suoi fluttuanti confini i “segni” premonitori di Riccardi giungono allo spettatore soltanto per fare riflettere e pensare.