V. Riviello, Dizionario Enciclopedico d’Arte Contemporanea, Roma, Unedi, 1998.
Riccardi agisce da poeta scegliendo cifre, emblemi, punti, nella stessa maniera con cui si scelgono le parole che un progetto ispirato stimola ed indica. Si tratta di un poema: La stanza del padre, un “topos” fortemente evocativo che però gli accende un “quadro” di riferimenti e liberi racconti, volanti trascrizioni in un’area quietamente medianica. Ma la stanza non ha odori violenti di zolfo né cristalleria crepuscolare disposta in sapiente disarmonia d’addii. La stanza del padre epicentro e ambulacro di memorie, di echi, di suoni, racchiusi in un contenitore ricco di affabulazioni e di sguardi con suo padre, mentre l’orologio nel suo taschino tamponava i vuoti e le assenze dell’anima e poi del corpo. La camera paterna è semplicemente rivisitata dal figlio non più in veste di timido adolescente o nel ruolo stabilito da adolescente edipico, ma attrezzato, non soltanto per capirla ma spregiudicatamente pronto per una regia che partendo dal teatro “praghese” affondasse i nervi direzionali nella lirica suggestiva e orfica della grande poesia del Novecento europeo.