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Sala d'Arte Moderna "Russo" - Trieste 1971 Luce del giorno e della notte; pieno meriggio, l'ora sacra a Pan e alle ninfe, mezzanotte l'ora degli gnomi e delle streghe nei riti magici di sabba. Ogni ora del giorno ha i suoi colori e i toni che le sono propri. Ma di che tinta si colorano i nostri sogni? I fiori sono sparsi appassiti, non un filo di vento rivolta verso l'alto l'argentato rovescio delle foglie, i pesci sono immoti nell'ombra dei massi delle correnti silenziose, nubi immobili stanno al confine del cielo, Dafne, Eco, Salmakis, Callisto, le dolci ninfe , i fantasmi di donne amate o da amare, sono come immagini incerte pencolanti tra passato e futuro nella ombra folta della selva del tempo. Che colore predominante daremo a questo paesaggio onirico? Giuseppe Mancuso, giovane pittore di Sarno, tra noi perchè all'azzurro golfo di Trieste lo ha portato il suo lavoro, suggerisce con le sue tele che i sogni si possono collocare nella gamma del turchino tinto di rosso, del ciclame, della porpora, del violetto. Stupisce sulle prime che l'autore di queste composizioni giocate tutte su toni freddi sia nato in un'assolata cittadina della provincia di Salerno; ma è proprio il rispetto che egli serba per la verosomiglianza fotografica come punto di partenza, per poi avventurarsi nell'ignoto surrealistico del virato violetto che ne denota l'origine delle scuole realistiche della pittura meridionale. Egli sente che si deve partire da una identificazione precisa della realtà come nelle foto dipinte a mano o nelle pagine dei giornali illustrati degli anni Trenta (la prima serie di "Novella"), ma piega poi la realtà all'esigenza di rendere surrealisticamente evidente l'invisibile, gli esseri inverosimili, di farci sognare le dimensioni che potrebbe avere l'esistenza in un pianeta retto da un astro diverso.