Dott. Prof. Sergio Giuliani
Se non dicesse lei,a chi la vede “lavorare”,che la sua è un’arte, un artigianato antico,si potrebbe credere che giochi.
Veloce nell’agire come un giocoliere,sorridente al prodotto che si sta formando per virtù chimica,ma che soltanto lei sta già vedendo con gli occhi della mente,Laura Tarabocchia crea le sue “chartae pictae” in leggerezza,ma non ci si inganni,perché il lavoro,l’impadronirsi di una tecnica per nulla facile e modificarla al proprio volere e sentire non è gioco,ma diventare esperti.
La “leggerezza” di cui hanno così bene detto Milan Kundera e Italo Calvino non è un dato immediato della conoscenza,ma il termine di un processo articolato che contiene prove rifiutate,acquisizioni,scoperte ed abbandoni.
Laura non è pittrice da cavalletto perché non si dedica a ricreare soggetti originalmente sentiti,quanto a far apparire onde di colori che si leggono poi come flussi psichici,gioia pura di occhi finalmente in libertà e cavalcate di luce in sé e per sé liberata.
L’osservatore si lascia aderire il “gioco”,libero dal perseguirne il significato,libero dalla “fatica” che ogni messaggio artistico comporta per essere ricevuto. Forse non immagina,stregato com’è, quanto sia stato complesso,per l’uomo, realizzare supporti cartacei (la cartiera,ancora oggi,ha del miracoloso) e,soprattutto,addentrarsi nella chimica di tinte e colori che,con gli opportuni e dosati solventi,vanno a significare sulla carta.
Mi piace pensare ad una mostra di Laura non fra luci artificiali e tra opere “perfectae”,ma in un laboratorio: non si stacca l’agire di Laura dal suo atelier, perché l’atmosfera magata,il suo sorridere e il suo “agire” non sono prodromi,ma elementi costitutivi dell’opera.
La fatica dell’”inventio”,il sapiente calcolo di tempi e di dosi e il recupero studiato della antica tecnica ci sono eccome. Solo che Laura ne fa come un gioco tutto iridato, ma mai replicato eguale a se stesso.
E’ bella l’opera; è bello vederla “agire”.