Prof. Jacopo Recupero

I paesaggi che Paolo Petrucci ha dipinto in questo ultimo anno hanno virtù di riunire, nel breve spazio di una tavoletta, visioni di ampio respiro, ricche di umori cromatici, scandite, con sicurezza nei vari piani fino all’estremo orizzonte che sbianca in un cielo di luce. Sono impressioni precise di luoghi, forse riscontrabili con altrettanti panorami naturali della terra laziale dove il giovane pittore ha soggiornato in questa estate. Il punto di partenza, però, diviene, per l’estrema libertà espressiva, il racconto favoloso d’una natura serena e rasserenante, trasfigurata dal colore, che dà corpo e significato a questo suo discorrere, il quale sembrerebbe, a un primo e più superficiale esame, fatto alla brava e con una certa sommessa e familiare semplicità, ed è, invece, intessuto dalla preziosità, forse anche inconscia, d’uno stilista. Egli, infatti, più che narrare e descrivere in forme chiare e definite la realtà, tende a tradurla in effetto cromatico ch’é l’equivalente di quel particolare stato d’animo con cui guarda intorno a sé. Nascono da quésto suo obbedire all’impulso del momento emotivo modi diversi che segnano altrettante stagioni del suo fare e chiariscono l’essenza di questa pittura, fatta di immediatezza e violenza a carattere espressionistico — e qui lo dichiarano un paesaggio urbano, in cui Roma brucia in uno di quei suoi tramonti che esaltano i rossi dei mattoni, e un Cristo, emergente, chiaro di luce, dal fondo buio del quadro — e, al tempo stesso, controllata da un istintivo senso di misura e capace di espressioni di lirica lievità.
Jacopo Recupero, 1965
 

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