Prof. Jacopo Recupero

Paolo Petrucci sa percepire ancora il messaggio che proviene dalle cose, e non se ne vergogna. Nell’odierna temperie di un astrattismo a ogni costo, va continuamente alla ricerca d’una realtà che sia capace di suscitargli una emozione trasferibile in un organismo cromatico.
Da quando lo conosco, il suo linguaggio si è a mano a mano maturato ritrovando inflessioni di estrema concisione, ma la costante di rapporto sensibile con la realtà non è mai venuta meno, così che a ripercorrere a ritroso il cammino, si riscoprono con immediatezza i momenti emotivi del suo operare: ora New York, ora il Nord-Europa, ora Venezia, ora Roma, e via via, tutte le tappe del suo peregrinare alla scoperta d’un mondo e d’una atmosfera suscettibili di traduzioni in immagini.
Da questo viaggio nel sud, che ha avuto come meta principale la Sicilia, si è riportato dietro una serie di quadri dai formati più vari, in cui sono fissate le visioni d’una terra che lo ha affascinato con le sue aride distese brulle, con i leggendari resti della antica civiltà, con le masse dei paesi abbarbagliati dal sole mediterraneo.
La tavolozza, sempre molto castigata, si è come incorporata quella gran luce: l’opera si realizza a larghe campiture di colore denso, in forme sinteticamente astrattizzanti che rivelano campagne, paesi, ruderi stagliati contro il chiarore uniforme di cieli immoti, nei quali si sente la vampa di un sole abbacinante.
Vi sono alcune tele, giocate in una gamma delicata di grigi, che presentano, invece, un’immagine inedita dell’isola, quale può apparire in talune albe umide, quando un sottilissimo velo di caligine azzurrina avvolge la natura, e le cose paiono farsi leggere come l’aria che le tinge.
Una realtà, questa evocata dal pittore, affatto libera dai dati certi del riscontro, la quale conserva, invece, quella più segreta essenza del vero, avvertibile più con il sentimento che con i sensi.
Jacopo Recupero
Aprile 1977

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