Prof. Andrea Taricco

Slanci dinamici della materia di Andrea Domenico Taricco (Corriere dell’Arte).

La prima impressione, innanzi alle opere di Roberto Ferrari, è che queste sviluppino un senso profondamente realistico catapultato sistematicamente in una dimensione legata al gesto, alla preponderanza del segno, attraverso l’innegabile profondità della materia. In altre parole sembra affrontare la realtà filtrandola con l’abilità tecnica degna della grande stagione dell’Informale, in cui l’atto del dipingere consiste nel coprire la tela con materie colorate liberamente accostate, impedendo quella differenza tradizionale tra fondo e figura, tra forma e spazio. Ritorna in auge una pittura veloce in cui la concezione formale è movimentata, resa dinamica in contrasto alla tradizionale staticità della pittura astratta. L’integrazione che Ferrari affronta nelle sue tele tra realismo e sviluppo informale si integra armonicamente in un linguaggio volto a condurre lo spettatore nella sfera dell’emozionale, dell’esplosione subitanea razionalizzata e circoscritta nella forma. Sembra una contraddizione, ma è la caratteristica pregnante che contraddistingue uno stile deciso e determinato: da una parte emerge il progetto figurativo in cui la forma dei soggetti rappresentati diviene il contenitore essenziale della realtà, rielaborata per mezzo di una tecnica principalmente autografica, nell’esplosione di una pulsione interna espressa per mezzo del gesto tramite il connubio materia-colore. Le “Creature” di Ferrari sono esattamente la sintesi di queste due tipologie stilistiche che prendono vita ricreando la realtà ed annullandola nello stesso tempo. In opere come “Giraffa che beve” (2010) rappresenta l’animale nell’atto di abbeverarsi presso un rigagnolo d’acqua nera, forse petrolio, denunciando l’inquinamento ambientale, e colpisce il contrasto tra il fondo scultoreo ottenuto dal gesso in opposizione ai neri contorni della grafite sino agli scorci di luce ottenuti con la gomma lacca. Stesse considerazioni possono essere fatte per “Coppia di lupi” (2010) in cui nuovamente l’aspetto realistico e formale da una parte si amalgama all’effetto tecnico ottenuto dal gesto della pennellata dall’altro, riportando in luce la registrazione della foga creativa ai limiti dell’improvvisazione, in stretto rapporto ai canoni compositivi della musica jazz. Caratteristiche che il maestro ha ereditato grazie alla sua vasta esperienza considerando l’affezione per la musica ed in modo particolare per il violino che ha sviluppato in lui la ricerca alchemica dei suoni tramutati in colore, così come nell’antica arte del liutaio fondata sulla perfezione tecnica. La sua ricerca è avvenuta in contesti geografici completamente distanti tra loro, pensando ai lunghi periodi trascorsi tra gli Stati Uniti e l’India. Elementi che lo hanno condotto al capolavoro “Bisonte americano” (2010) in cui l’opposizione tra la resina vinilica e la polvere di grafite soffiata via, riporta alle grotte di Lascaux, al senso primitivo e stilizzante della forma, in cui prendono posto l’audacia del gesto e la compiutezza del segno. L’arte del maestro Ferrari, insomma, porta lo spettatore fuori dal quadro, al momento dell’azione, utilizzando sovrapposizioni materiche che proiettano il flusso vitale oltre il contingente. Il dinamismo delle sue creature sintetizza questo slancio verso l’infinito.

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