Dino Buzzati - anni '60 "COME SE"
Premessa: questo è un racconto inedito di Dino Buzzati. Fu scritto, appositamente perchè ispirato dai quadri che avrebbero costituito quella esposizione, in particolar modo "Giano Bifronte", esposizione dell'amico Sergio Graziosi.
Buzzati pensò che fosse più simpatico un racconto, che non la solita presentazione.
Nella città dove arrivai in un giorno di sole pesante e abbastanza cupo, la gente era tranquilla, le strade pulite, le foglie degli alberi al loro posto giusto, e gruppi di giovani con violini, chitarre e altri strumenti suonavano canzoni. Ma non c'era allegria. Era una giornata serena nella città del Sudamerica, i ragazzi suonatori erano vestiti con decoro e convenientemente nutriti, giovani di carattere mite affezionati alla famiglia, anche le loro canzoni erano garbate e conformi alla morale. I preti, che passavano di tanto in tanto vestiti enormemente di nero, non disapprovavano, alcuni anzi si fermarono ad ascoltare. Ma allegria non cera.
Ad onta della stessa luce solare, nessuno portava occhiali scuri. Era una luce strana: l'aria ne era impregnata dovunque, da una parte e dall'altra delle cose: non c'erano ombre né angoli bui. Anche i ragazzi suonatori non mandavano ombra. Chiunque, negli altri paesi, sarebbe stato orgoglioso di tale particolarità, e si sarebbe mostrato non dico felice, ma contento sì.
Invece, quella gente non vi faceva alcun caso come se fosse la cosa più naturale del mondo, su nessun labbro né superiore né inferiore si scorgeva la sia pur lontana ombra di un sorriso. Come se ciascuno avesse un pensiero, una specie di preoccupazione che però non diceva. Non solo. Poichè era tempo di carnevale, da varie parti sbucavano gruppi di maschere molto colorate che si agitavano coi gesti consueti adatti a provocare allegria negli astanti (anch'esse stranamente non mandavano ombra nonostante la grande luce). Tuttavia nessuno rideva e neppure sorrideva. La gente guardava con occhi spalancati e basta. Come se veramente ci fosse qualcosa di preoccupante, contrario al carnevale, ma nessuno intendesse parlarne.
Ad un tratto il vocio disordinato delle maschere fu soverchiato da uno squillo di tromba il quale veniva da molto lontano attraverso le aperture di un loggiato sovrastante. Allora le maschere si fermarono come statue nell'atteggiamento che avevano in quell'istante, le pupille degli spettatori si irrigidirono, quasi spaventate, e si fece silenzio.
Limmobilità generale durò pochi istanti. Ben presto le maschere ripresero l'agitazione e le grida. Ma io, incuriosito, salii fino al loggiato, per guardare. Con stupore constatai allora che il loggiato corrispondeva al ciglio delle mura da cui la città era recinta.
Dinanzi a me si stendeva un paesaggio incolto e selvatico con giganteschi pietroni emergenti dalla verde boscaglia. E nelle radure che si aprivano qua e là si stava svolgendo una battaglia.
Cavalieri in elmo e corazza lottavano contro alcuni cavalieri, a colpi di spada e di lancia. Nè mancavano gli arceri e gli alabardieri appiedati.
Sto assistendo a confuse mischie, molti guerrieri giacciono immobili al suolo, altri via via stramazzano morti, o feriti gravemente. E tutto lascia presumere che il combattimento duri già da parecchie ore, forse da molti giorni, forse da alcuni anni. Mi è chiaro allora perchè alle mie spalle, nelle vie e nelle piazze della apparentemente tranquilla città, non uno rida o sorrida, ad onta del carnevale, delle maschere e delle garbate canzoni.
Ma, intorno alle mura, la guerra come finirà?
Buzzati pensò che fosse più simpatico un racconto, che non la solita presentazione.
Nella città dove arrivai in un giorno di sole pesante e abbastanza cupo, la gente era tranquilla, le strade pulite, le foglie degli alberi al loro posto giusto, e gruppi di giovani con violini, chitarre e altri strumenti suonavano canzoni. Ma non c'era allegria. Era una giornata serena nella città del Sudamerica, i ragazzi suonatori erano vestiti con decoro e convenientemente nutriti, giovani di carattere mite affezionati alla famiglia, anche le loro canzoni erano garbate e conformi alla morale. I preti, che passavano di tanto in tanto vestiti enormemente di nero, non disapprovavano, alcuni anzi si fermarono ad ascoltare. Ma allegria non cera.
Ad onta della stessa luce solare, nessuno portava occhiali scuri. Era una luce strana: l'aria ne era impregnata dovunque, da una parte e dall'altra delle cose: non c'erano ombre né angoli bui. Anche i ragazzi suonatori non mandavano ombra. Chiunque, negli altri paesi, sarebbe stato orgoglioso di tale particolarità, e si sarebbe mostrato non dico felice, ma contento sì.
Invece, quella gente non vi faceva alcun caso come se fosse la cosa più naturale del mondo, su nessun labbro né superiore né inferiore si scorgeva la sia pur lontana ombra di un sorriso. Come se ciascuno avesse un pensiero, una specie di preoccupazione che però non diceva. Non solo. Poichè era tempo di carnevale, da varie parti sbucavano gruppi di maschere molto colorate che si agitavano coi gesti consueti adatti a provocare allegria negli astanti (anch'esse stranamente non mandavano ombra nonostante la grande luce). Tuttavia nessuno rideva e neppure sorrideva. La gente guardava con occhi spalancati e basta. Come se veramente ci fosse qualcosa di preoccupante, contrario al carnevale, ma nessuno intendesse parlarne.
Ad un tratto il vocio disordinato delle maschere fu soverchiato da uno squillo di tromba il quale veniva da molto lontano attraverso le aperture di un loggiato sovrastante. Allora le maschere si fermarono come statue nell'atteggiamento che avevano in quell'istante, le pupille degli spettatori si irrigidirono, quasi spaventate, e si fece silenzio.
Limmobilità generale durò pochi istanti. Ben presto le maschere ripresero l'agitazione e le grida. Ma io, incuriosito, salii fino al loggiato, per guardare. Con stupore constatai allora che il loggiato corrispondeva al ciglio delle mura da cui la città era recinta.
Dinanzi a me si stendeva un paesaggio incolto e selvatico con giganteschi pietroni emergenti dalla verde boscaglia. E nelle radure che si aprivano qua e là si stava svolgendo una battaglia.
Cavalieri in elmo e corazza lottavano contro alcuni cavalieri, a colpi di spada e di lancia. Nè mancavano gli arceri e gli alabardieri appiedati.
Sto assistendo a confuse mischie, molti guerrieri giacciono immobili al suolo, altri via via stramazzano morti, o feriti gravemente. E tutto lascia presumere che il combattimento duri già da parecchie ore, forse da molti giorni, forse da alcuni anni. Mi è chiaro allora perchè alle mie spalle, nelle vie e nelle piazze della apparentemente tranquilla città, non uno rida o sorrida, ad onta del carnevale, delle maschere e delle garbate canzoni.
Ma, intorno alle mura, la guerra come finirà?