Lucio Del Gobbo - 2009 "RITRATTI IN SCENA"

Il teatro è sempre stato la passione di Sergio Graziosi, un'attrazione forse gregaria soltanto alla più resistente e strenua delle sue vocazioni: la pittura. Egli, le sue passioni - la poesia, naturalmente, e il collezionismo inteso come culto e cultura di ciò che è stato - a cercato in ogni momento di metterle in sintonia tra loro, per non eleggerne una a danno dell'altra, ma soprattutto per conformare il proprio animo in modo armonico, lasciando che fossero quelle a dargli fisionomia.
I ritratti che troviamo in questa mostra, eseguiti a periodi, quasi a costituire una cronologia delle sue frequentazioni, con l'uso di pochi colori addensati in masse, erano il suo modo di sintetizzare l'immagine pittorica in un'espressione che la rappresentassero stabilmente, come egli la recepiva e la conservava all'interno di sé. Concorreva a "fissarla" una luce che era quella un po' improbabile e metafisica del palcoscenico: un'atmosfera che amava. Erano dediche a persone care, quelle che più qualificavano ed animavano il suo mondo interiore: origine e nutrimento.
Come ci ricorda Luciano Quarantini, che ordinò numerose mostre assieme a lui ed è curatore anche di questa, furono presentati per la prima volta nel 1989 a Milano, al Teatro dei Filodrammatici "in piazza della Scala", e poi l'anno successivo al Teatro Nazionale.
in ognuna di quelle occasioni Graziosi ricevette affetto ed ammirazione da molti suoi amici attori (quelli ritratti erano circa 120) che gli si raccolsero intorno considerandolo uno di loro: spettatore da un lato ma prottagonista e regista nello spettacolo della pittura. Alcuni di questi suoi amici, sia pure con apparizioni fugaci, lo seguirono anche a Montecosaro. E ogni volta fu una festa per tutti.
L'ultima volta che sentii Sergio, in una lunga telefonata che mi fece ad un'ora piuttosto insolita (un ritaglio di giornata che avevo riservato al riordino di alcune mie cose) notai nel suo parlare come un'ansia, quasi la foga e l'urgenza di dimostrare e convincere me, che non avevo assolutamente bisogno di garanzie oltre quelle che negli anni mi avevano dato la sua intelligenza la sua sensibilità e la qualità del suo lavoro, a convincermi, dicevo, che a Milano, fuori della provincia, nelle cerchie di intellettuali ed artisti che aveva frequentato, sempre aveva riscosso amicizia e considerazione. E tra i suoi più vicini c'erano oltre che attori, scrittori e personalità che rappresentavano al meglio la cultura nazionale anche persone comuni suoi condomini e conoscenti che incontrava per strada.
Si leggeva nelle sue parole il timore che invece la sua terra di origine lo avesse trascurato, Macerata in particolare. Sebbene fosse luogo di affetti egli preferiva considerarsene fuori, in una situazione che, come ho annotato in altra occasione, ne facilitava una visione critica e altera.
Questa è la sua ribellione, questo il suo eroismo: una forza proveniente da una grande fragilità, dalla sensazione di un'inalienabile precarietà di tutto. Una visione dolente e però assuefatta a quella condizione di non appartenenza e di esilio che ne pervade anche la pittura.
Montecosaro invece era tra le sue amicizie più fedeli. E lo è ancora, dimostrandolo con questa mostra che ne rinverdisce affettuosamente il ricordo a quasi dieci anni dalla scomparsa.