Raffaele De Grada - 1955 "CARO GRAZIOSI"

Caro Graziosi, a un anno di distanza dalla tua mostra alla Montenapoleone, qui a Milano, tu stai per affrontare la seconda avventura della tua carriera artistica, il pubblico romano, con questa mostra al "Pincio". Io ho visto i tuoi primi passi, quando eri ancora incerto tra i versi e i colori, ho constatato la tua passione nel seguire i primi rudimenti dell'arte figurativa, con la guida intelligente di Ernesto Treccani, e ora che tu prendi posto come giovane in questa categoria dei pittori, di cui la nostra Italia non è mai stata avara, tu mi chiedi più un conforto da amico che un giudizio da critico per sentirti un po' rinfrancato, tu timidissimo, davanti a un pubblico nuovo.
Una bella lettera, che ti ha scritto l'anno scorso in occasione della tua mostra Ernesto Treccani, bene individua il tuo mondo... Io voglio dirti invece che cosa manca, secondo il mio modesto parere, alla tua pittura per realizzare in pittura i contenuti che tu hai in corpo, in modo più o meno chiaro.
Tu credi ancora oggi di trovare l'unità secondo un'illuminazione uniforme, che è una luce crepuscolare.Così tu crei una impossibilità di centro, nel tuo quadro: le cose hanno tutte lo stesso valore e la deformazione, necessaria come gli aggettivi nel linguaggio, è sovrapposta col disegno più che rilevata con la pittura.
Tu mi puoi rispondere che vuoi dare un equilibrio classico alla tua visione, che vuoi cacciare ogni possibile espressionismo. Lo comprendo ed apprezzo questo tuo sforzo, oggi specialmente importante. Ma vorrei vedere ugualmente, sulle facce dei tuoi bambini, muoversi la vita che pulsa intorno, cui essi, i bambini, sono legati da un cordone ombelicale. perchè, tu che vuoi avviare sulla nobile e difficile strada del realismo... non sposti di quadro in quadro gli elementi della tua composizione così come, nella vita, tutto muta? La visione del pittore unifica con lo stile la diversità degli aspetti, ma i ritmi, il modo come le cose risuonano nel significato poetico, sono sempre così vari. Ecco dunque come tu, potresti animare, dialettizare la tua pittura.
Essa vive oggi soltanto per il suo soggetto, tu stesso che sei sempre il personaggio dei tuoi quadri, tu giovinetto, tu grattacielo di Milano. Scegliti gli oggetti, tu che vuoi nobilmente essere realista, e falli entrare, muovere i fondi, a ristabilire un ritmo vitale.
Tu studi profondamente. Lo so e si vede dai tuoi disegni e anche dai tuoi quadri. Le tue figure hanno un peso i tuoi piani, anche i fondi, sono a posto. Tuttavia il problema non è quello di risolvere una volta per tutte una composizione di figura. Si tratta di imparare a farla vivere in tutte le occasioni, fuori dallo studio, come la vedi nella vita, con tutta la varietà di condizioni che le precipitano addosso, che la caratterizzano, la modificano in ogni momento.
Se io faccio il discorso "di quel che ti rimane da fare", vuol dire che tu hai già fatto molto. Tu hai scelto la strada buona della pittura, lavori seriamente per percorrerla, hai quella carica di poesia che ti fa pittore. L'essenziale è questo, il resto si impara, verrà.
Già con questa mostra tu manifesti con tutta chiarezza che sai fare una figura che sia una figura, che ha un peso, che si compone sui giusti piani della visibilità; che sai armonizzare un gruppo di figure, che sai costruire un quadro, guardare un paese, capire la malinconia di un cortile o la solitudine della casa cittadine, amare l'infanzia cui tu idealmente ancora appartieni, mentre la pittura per te è ancora, felicemente, un gran bel gioco. Auguri, caro Sergio.

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