Il Male Assoluto

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Descrizione

Silvio Berlusconi un Santo a confronto.

Romina Petrini 


https://www.ansa.it/sito/notizie/politica/2024/05/31/mattarella-nomina-i-cavalieri-lavoro-anche-marina-berlusconi_333cca95-2c3f-4abb-b779-c2e90f2410fd.html


Banca Rasini 

Il Club della Mafia 

Direttore Luigi Berlusconi 


*

Segui i soldi, troverai la mafia.

Giovanni Falcone


Banca Rasini

La Banca Rasini è stata una piccola banca milanese, fondata nel 1954 ed inglobata nella Banca Popolare di Lodi nel 1992. Il motivo principale della sua fama è che tra i suoi clienti principali si annoveravano i criminali Pippo Calò, Totò Riina, Bernardo Provenzano (al tempo, uomini guida della Mafia) e l'imprenditore e uomo politico Silvio Berlusconi, il cui padre Luigi Berlusconi vi lavorava come funzionario. Le dichiarazioni di Michele Sindona sulla Banca Rasini la fanno citare più volte da Nick Tosches, un giornalista del The New York Times, nel suo libro I misteri di Sindona, e l'hanno resa nota tra gli studiosi internazionali che si occupano della storia della Mafia italiana.


Storia


La "Banca Rasini Sas di Rasini, Ressi & C." viene fondata nel 1954 dai milanesi Carlo Rasini, Gian Angelo Rasini, Enrico Ressi, Giovanni Locatelli, Angela Maria Rivolta e Giuseppe Azzaretto. Il capitale iniziale è di 100 milioni di lire. Sin dalle sue origini la banca è un punto di incontro di capitali lombardi (principalmente quelli della nobile famiglia milanese dei Rasini, proprietaria del feudo di Buccinasco) e palermitani (quelli provenienti da Giuseppe Azzaretto, uomo di fiducia di Giulio Andreotti in Sicilia).


Nel 1970 Dario Azzaretto, figlio di Giuseppe, diviene socio della banca. Sempre nel 1970, il procuratore della banca Luigi Berlusconi (padre di Silvio Berlusconi) ratifica un'operazione destinata ad avere un peso nella storia della Rasini: la banca acquisisce una quota della Brittener Anstalt, una società di Nassau legata alla Cisalpina Overseas Nassau Bank, nel cui consiglio d'amministrazione figurano nomi destinati a divenire famosi, come Roberto Calvi, Licio Gelli, Michele Sindona e monsignor Paul Marcinkus.


Nel 1973 la Banca Rasini diviene una S.p.a., ed il controllo passa dai Rasini 

agli Azzaretto. Il Consiglio di Amministrazione della Banca Rasini S.p.a. è costituito da Dario e Giuseppe Azzaretto, Mario Ungaro (avvocato romano e noto amico di Michele Sindona e Giulio Andreotti), Rosolino Baldani e Carlo Rasini.


Ma nel 1974, nonostante l'ottima situazione finanziaria della Banca Rasini (che nell'ultimo anno aveva guadagnato oltre un quarto del suo capitale), Carlo Rasini lascia la banca fondata dalla sua famiglia, dimettendosi anche dal ruolo 

di consigliere. Secondo gli analisti, le ragioni delle dimissioni di Carlo Rasini sono da cercarsi nella sua mancanza 

di fiducia verso il resto del Consiglio di Amministrazione, e degli Azzaretto in particolare.


Sempre nel 1974, Antonio Vecchione diviene Direttore Generale, ed in soli dieci anni il valore della banca esplode, passando dal miliardo di lire nel 1974 al valore stimato di circa 40 miliardi di lire nel 1984.


Il 15 febbraio 1983 la Banca Rasini sale agli onori della cronaca, per via dell'"Operazione San Valentino". 

La polizia milanese effettua una retata contro gli esponenti di Cosa Nostra a Milano, e tra gli arrestati figurano numerosi clienti della Banca Rasini, 

tra cui Luigi Monti, Antonio Virgilio e Robertino Enea. Si scopre che tra i correntisti miliardari della Rasini vi sono Totò Riina e Bernardo Provenzano. 

Anche il direttore Vecchione e parte dei vertici della banca vengono processati e condannati, in quanto emerge il ruolo della Banca Rasini come strumento per 

il riciclaggio dei soldi della criminalità organizzata.


Dopo il 1983, Giuseppe Azzaretto cede 

la banca a Nino Rovelli. Nino Rovelli è 

un imprenditore (noto soprattutto per la vicenda Imi-Sir) e non ha esperienza nel settore bancario. Nelle inchieste tuttora in corso sulla Banca Rasini, Nino Rovelli è spesso considerato un uomo che ha coperto la vera dirigenza della banca fino al 1992. Tuttavia, non esistono evidenze al riguardo, né ipotesi sui nomi dei veri amministratori della Banca.


Nel 1992 la Banca Rasini viene inglobata nella Banca Popolare di Lodi, ma è solo nel 1998 che la Procura di Palermo mette sotto sequestro tutti gli archivi della banca. I giudici di Palermo, anche a seguito delle rivelazioni di Michele Sindona (intervista del 1985 ad un giornalista americano, Nick Tosches) 

e di altri "pentiti", indicano la stessa banca Rasini come coinvolta nel riciclaggio di denaro di provenienza mafiosa. Tra i correntisti della banca figurava anche Vittorio Mangano, il mafioso che lavorò nella villa di Silvio Berlusconi dal 1973 al 1975.


Legami con la mafia


La Banca Rasini deve la sua fama tra gli studiosi della storia d'Italia, soprattutto alle dichiarazioni di Michele Sindona del 1984. Quando il giornalista del New York Times, Nick Tosches, chiese a Sindona (poco prima della misteriosa morte di quest'ultimo): «Quali sono le banche usate dalla mafia?» Sindona rispose: 

«In Sicilia il Banco di Sicilia, a volte. A Milano una piccola banca in Piazza dei Mercanti».


In effetti, le indagini successive alla retata dell'Operazione San Valentino dimostrarono ampiamente il ruolo della Banca Rasini nel riciclaggio dei soldi della mafia, ed i contatti dell'istituto coi più alti vertici mafiosi.


Il Commissario di Polizia Calogero Germanà ha ipotizzato che l'istituto, al pari della Banca Sicula di Trapani, fosse uno dei centri per il riciclaggio del denaro sporco di Cosa Nostra.


Legami con la famiglia Berlusconi


Tra i personaggi famosi con cui la Banca Rasini ebbe dei legami va citato l'imprenditore e uomo politico Silvio Berlusconi. Il padre di Silvio Berlusconi, Luigi Berlusconi fu prima un impiegato alla Rasini, quindi procuratore con diritto di firma, ed infine assunse un ruolo direttivo all'interno della stessa. 

La Banca Rasini, e Carlo Rasini in particolare, furono i primi finanziatori 

di Silvio Berlusconi all'inizio della sua carriera imprenditoriale. Silvio e suo fratello Paolo Berlusconi avevano un conto corrente alla Rasini, così come numerose società svizzere che possedevano parte della Edilnord, la prima compagnia edile con cui Silvio Berlusconi iniziò a costruire la sua fortuna.


La Banca Rasini risulta anche nella lista di banche ed istituti di credito che gestirono il passaggio dei finanziamenti di 113 miliardi di lire (equivalenti ad oltre 300 milioni di euro nel 2006) che ricevette la Fininvest, il gruppo finanziario e televisivo di Berlusconi, tra il 1978 ed il 1983.


Il giornale inglese The Economist cita ripetutamente la Banca Rasini nel suo noto reportage su Silvio Berlusconi, sottolineando che Berlusconi ha effettuato transazioni illecite per mezzo della banca. È stato infatti accertato che Silvio Berlusconi ha registrato presso la banca ventitré holding come negozi di parrucchiere ed estetista. Anche per fare chiarezza su questi fatti nel 1998 l'archivio della banca è stato messo sotto sequestro.


LEGAMI CON LA MAFIA

La Banca Rasini deve la sua fama tra gli studiosi della storia d'Italia, soprattutto alle dichiarazioni di Michele Sindona del 1984. Quando il giornalista del New York Times, Nick Tosches, chiese a Sindona (poco prima della misteriosa morte di quest'ultimo): «Quali sono le banche usate dalla mafia?» Sindona rispose: «In Sicilia il Banco di Sicilia, a volte. A Milano una piccola banca in Piazza dei Mercanti».

In effetti, le indagini successive alla retata dell'Operazione San Valentino dimostrarono ampiamente il ruolo della Banca Rasini nel riciclaggio dei soldi della mafia, ed i contatti dell'istituto coi più alti vertici mafiosi.


Il Commissario di Polizia

Calogero Germanà 

ha ipotizzato che l'istituto, al pari della Banca Sicula di Trapani, fosse uno dei centri per il riciclaggio del denaro sporco di Cosa Nostra.


https://it.m.wikipedia.org/wiki/Banca_Rasini

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Foto in evidenza:

Tgcom24 -

Nel 1945, finita la guerra, la famiglia finalmente si riunisce e torna stabilmente a Milano. In questo scatto vediamo Luigi Berlusconi (1908-1989), il "papà severo ma affettuoso"; la mamma Rosa Bossi (1911-2008) e anche Maria Antonietta (1943-2009). Di 7 anni più giovane di Silvio, è stata stroncata da malore improvviso a soli 65 anni.


https://www.tgcom24.mediaset.it/politica/speciale-auguri-presidente/foto/la-gioventu-di-silvio-berlusconi_3005362-2016.shtml?overlay=true


EVENTI/GIUSTIZIA/MAFIA

La Corte di Cassazione conferma, Fininvest ha finanziato la mafia

14/06/2023 | 3 mins read


“Nessun odio, ma nessuna santificazione ipocrita. Ricordare chi è stato Berlusconi è oggi un dovere civile”, così Tomaso Montanari, rettore dell’Università per stranieri di Siena. Occorrerà tempo e il giusto distacco per ragionare complessivamente su un personaggio che, nel bene e nel male, ha occupato la scena politica italiana, e non solo, negli ultimi trent’anni, dopo la fine della cosiddetta prima repubblica.

Accanto alla tristezza che si prova di fronte a ogni morte, non è però corretto cancellare cronaca e storia, per questo abbiamo più di una perplessità di fronte alla scelta del governo di disporre il lutto nazionale. Misura che, limitandoci alla Sicilia, non è stata realizzata neanche dopo gli assassinii di Falcone e Borsellino.

Talvolta, più che i ragionamenti articolati, sempre benvenuti, è utile fare parlare i fatti. Per questo proponiamo un articolo di Stefano Baudino, de L’Indipendente, che ricostruisce il processo intentato dalla Fininvest contro gli autori del libro “Colletti sporchi”, sul quale nel 2021 la Corte di Cassazione ha definitivamente dato torto all’azienda del biscione.

Scrivere che “La Fininvest ha finanziato Cosa Nostra ed è stata in rapporti con la mafia” è assolutamente legittimo: così ha stabilito la Corte di Cassazione, che dopo sette anni è andata a chiudere il processo intentato dalla Fininvest, holding fondata nel 1975 da Silvio Berlusconi, contro il magistrato Luca Tescaroli, il giornalista Ferruccio Pinotti ed RCS, la Casa Editrice che ha pubblicato il loro libro dal titolo “Colletti Sporchi”.

All’interno dell’opera, uscita nel 2008, gli autori avevano approfondito l’annoso tema dei rapporti tra il gotha della mafia siciliana e la società di Berlusconi, i cui vertici avrebbero versato periodicamente 200 milioni di lire “a titolo di contributo a Cosa Nostra”.

In particolare, nel libro trovavano spazio le dichiarazioni del pentito Salvatore Cancemi, che, nella cornice del processo sulle stragi di Capaci e di via D’Amelio, rivelò che il capo di Cosa Nostra Totò Riina si sarebbe attivato dall’inizio degli anni ’90 al fine di “coltivare direttamente […] i rapporti con i vertici della Fininvest tramite Craxi” e che lo stesso Riina, nel 1991, gli riferì che “Berlusconi e […] Marcello Dell’Utri erano interessati ad acquistare la zona vecchia di Palermo e che lui stesso (Riina, ndr) si sarebbe occupato dell’affare, avendo i due personaggi ‘nelle mani’”.

Lo spaccato delineato da Cancemi rispetto all’asse Fininvest-Cosa Nostra è stato confermato dalle testimonianze di altri importanti esponenti della mafia palermitana divenuti collaboratori di giustizia, tra cui Giovanni Brusca, che inquadrò “come regalo, come contributo, come estorsione” il denaro versato da Berlusconi a Cosa Nostra, e Gaetano Grado, che affermò che una parte degli ingenti guadagni del traffico di droga furono investiti dalla mafia, tramite l’azione di Dell’Utri, nelle società di Silvio Berlusconi.

Essendo stato riconosciuto come mediatore tra Cosa Nostra e l’allora imprenditore Berlusconi, nel 2014 Marcello Dell’Utri è stato condannato per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa. La sentenza definitiva che gli ha impartito sette anni di carcere afferma che “grazie all’opera di intermediazione svolta da Dell’Utri veniva raggiunto un accordo che prevedeva la corresponsione da parte di Silvio Berlusconi di rilevanti somme di denaro in cambio della protezione da lui accordata da Cosa Nostra palermitana.

Tale accordo era fonte di reciproco vantaggio per le parti che a esso avevano aderito grazie all’impegno profuso da Dell’Utri: per Silvio Berlusconi esso consisteva nella protezione complessiva sia sul versante personale che su quello economico; per la consorteria mafiosa si traduceva invece nel conseguimento di rilevanti profitti di natura patrimoniale. Tale patto non era stato preceduto da azioni intimidatorie di Cosa Nostra palermitana in danno di Silvio Berlusconi e costituiva piuttosto l’espressione di una certa espressa propensione a monetizzare per quanto possibile il rischio cui era esposto”.

Secondo i magistrati, tale patto sarebbe stato stipulato nel 1974, in occasione di un incontro tenutosi a Milano tra Silvio Berlusconi, il suo braccio destro Marcello Dell’Utri, l’allora capo della mafia palermitana Stefano Bontate e il mafioso Francesco di Carlo. Esso sarebbe rimasto effettivo fino all’anno 1992. “Il sopravvento di Riina e dei corleonesi [che sconfissero i palermitani nella seconda guerra di mafia e conquistarono il comando dell’organizzazione, ndr] – prosegue la Cassazione – non aveva mutato gli equilibri che avevano garantito l’accordo nel 1974 tra Berlusconi e Cosa Nostra grazie all’intermediazione di Dell’Utri, che aveva assicurato da un lato la generale protezione dell’imprenditore, e dall’altro profitti e guadagni illeciti utili al rafforzamento dell’organizzazione mafiosa, che per circa un ventennio aveva mantenuto contatti con il facoltoso imprenditore. 

L’avvento dei corleonesi di Totò Riina non aveva inciso sulla causa illecita del patto. Berlusconi aveva infatti costantemente manifestato la sua personale propensione a non ricorrere a forme istituzionali di tutela, ma avvalendosi piuttosto dell’opera di mediazione con Cosa Nostra svolta da Dell’Utri. A sua volta Dell’Utri aveva provveduto con continuità a effettuare per conto di Berlusconi il versamento delle somme concordate a Cosa Nostra e non aveva in alcun modo contestato le nuove richieste avanzate da Totò Riina”.

La via era, insomma, segnata dalle precedenti risultanze processuali. Seguendo la linea dei giudici di primo e secondo grado e respingendo l’ennesimo ricorso della Fininvest, la Cassazione ha effettuato la “verifica dell’avvenuto esame, da parte del giudice del merito, della sussistenza dei requisiti della continenza, della veridicità dei fatti narrati e dell’interesse pubblico alla diffusione delle notizie” e “della congruità e logicità della motivazione”. La Fininvest sarà ora chiamata a pagare le spese processuali.


 Fonte

https://www.argocatania.it/2023/06/14/la-corte-di-cassazione-conferma-fininvest-ha-finanziato-la-mafia/



 


 


 


 


 


 




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