Interpretazione Skanderbeg che guarda l’Arberia

di Paolo Cozzolino

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Descrizione

SKANDERBEG.  Giorgio Castriota,è  l'eroico difensore dell'indipendenza albanese contro l'invasione ottomana nel sec. XV. Nacque nel 1403 da Giovanni Castriota, signore di alcuni villaggi nel territorio dei Matija e dei Dibra e forse anche di Croia (vedi castriota) e da Voisava, figlia di un dinasta serbo. Caduto Giovanni sotto la sovranità ottomana, intorno al 1415 Giorgio fu inviato come ostaggio alla corte del sultano, dove con l'Islām ricevette il nome di Alessandro (in turco: Iskander) e il titolo di beg (onde: Iscanderbeg o Scanderbeg). Si segnalò presto per la sua forza straordinaria e per la sua audacia nelle guerre asiatiche acquistandosi l'ammirazione e la fiducia del sultano che lo promosse al governo di un sangiaccato e gli affidò il comando di importanti forze nelle guerre contro i Serbi, gli Ungheresi e i Veneziani. Ma l'Islām non era penetrato a fondo nella sua anima e quando, nel 1443, gli eserciti cristiani guidati da Giovanni Hunyadi, passato il Danubio, disfecero gli Ottomani a Niš, Giorgio, approfittando della confusione, abbandonò le insegne del sultano, s'impadronì con l'astuzia di Croia e iniziò il moto di riscossa dell'Albania. La sua clamorosa defezione, il possesso di Croia, il suo ritorno alla fede cattolica, il suo matrimonio con la figlia di un potente dinasta, Comneno Arianite, il successo delle sue prime imprese gli diedero ben presto un prestigio invincibile non solo fra i suoi connazionali ma anche fra gli stessi nemici. L'insurrezione si estese rapidamente: l'un dopo l'altro i capi dei varî clan albanesi, che invano avevano tentato di resistere ai Turchi, si strinsero intorno a lui e in un'assemblea tenutasi lo stesso anno in Alessio lo proclamarono "Capitano generale dell'Albania". Anche dalle potenze cristiane egli ricevette incoraggiamenti e promesse di aiuto, soprattutto dal papato, che si adoperò senza tregua a promuovere crociate contro gl'infedeli, dai re di Napoli, i quali, seguendo la politica inaugurata dai Normanni, tendevano ad estendere il loro dominio sulla riva orientale dell'Adriatico, e da Venezia, la quale, dopo un momento di esitazione e di diffidenza, si avvicinò a lui e scrisse il suo nome nel Libro d'oro della nobiltà. Ma l'unione di Alessio non arrivò mai a creare una vera solidarietà albanese di fronte al nemico e molti capi tornarono col tempo ai loro antagonismi locali o, preoccupati soltanto dei loro personali interessi, patteggiarono coi Turchi tradendo la causa nazionale; e gli aiuti promessi dalle potenze cristiane furono sempre scarsi. In realtà nella lotta che per oltre vent'anni sostenne contro gli Ottomani, Scanderbeg fu quasi sempre solo e non poté contare se non sulle proprie forze che erano limitate e non superarono quasi mai i 20.000 uomini. Le sue vittorie si devono soprattutto al suo straordinario valore, alla sua audacia, alla conoscenza che egli aveva dei luoghi. Fra il 1443 e il 1448 sconfisse quattro eserciti turchi, rioccupò le terre dei suoi maggiori e si spinse fino a Dibra. Nel 1449 il sultano Murād II intraprese personalmente una spedizione contro il suo antico paggio. A capo di 100.000 uomini penetrò in Albania prese le forti posizioni di Dibra e Sfetigrad, ma fallì all'assedio di Croia e fu costretto a ritirarsi. A domare il fiero avversario, Maometto II, successo nel febbraio 1451 a Murād II, non solo inviò nuovi eserciti, ma con denaro e promesse guadagnò a sé dei capi albanesi promovendo guerre interne. Ma tutti gli sforzi si ruppero contro il valore di Scanderbeg: le milizie ottomane furono respinte; i capi insorti, fra i quali si trovò un suo nipote, Hamza beg, vinti. Nel 1459, approfittando di un breve tregua nella guerra contro i Turchi, Scanderbeg si recò in Italia per portare aiuto al re di Napoli, Ferdinando, in lotta con Giovanni d'Angiò, pretendente al trono, e con Gian Antonio Orsino, principe di Taranto. Sbarcato a Trani, egli combatté a Bari e a Ursara contribuendo alla vittoria di Ferdinando che in ricompensa gli cedé Trani, Monte Gargano e San Giovanni Rotondo. Tornato in patria vinse successivamente i generali turchi Sinān pascià, Ḥusein, Yūsuf beg, Qarāgiā beg e nel maggio 1461 ottenne da Maometto II, il conquistatore di Costantinopoli e della Grecia, il riconoscimento delle sue conquiste. La pace che allora fu firmata fra S. e il sultano doveva durare dieci anni; ma non ne erano ancora trascorsi due quando il principe albanese, cedendo alle sollecitazioni del papa Pio II, che in quel momento si illudeva di potere raccogliere le forze cristiane per una nuova crociata, riprendeva le ostilità. Com'è noto, la crociata non ebbe luogo per la morte del papa e S. si trovò con le sole sue forze esposto alle ire di Maometto II. Questi era deciso a domare il fiero avversario, del quale per altro ammirava il valore, e nel 1466, essendo stati i suoi generali Ghirmet beg e Balabān beg sconfitti ripetutamente, venne in persona in Albania con un esercito di circa 200.000 uomini. Di fronte alla schiacciante superiorità delle forze nemiche, Giorgio Castriota evitò le battaglie campali limitandosi a molestare con attacchi improvvisi le milizie ottomane. Questa tattica e l'eroica resistenza di Croia che assurse a simbolo della libertà albanese stancarono alla fine Maometto, il quale si ritirò lasciando il comando delle sue forze a Balabān beg. Mentre Croia resisteva ancora, S., fra il dicembre 1466 e la primavera del 1467, fu in Italia per cercare aiuti. Non ne ebbe se non da Venezia, la quale, oltre a concedergli un contingente di 13.000 uomini, inviò anche una flotta sulle coste albanesi. Sbarcato a Durazzo, S., nonostante l'esiguità delle sue forze, assalì sotto le mura di Croia l'esercito ottomano. Egli inflisse numerose perdite ai nemici - cadde fra altri lo stesso comandante supremo, Balabān beg - ma non riuscì a sbloccare la fortezza. Ritiratosi ad Alessio per raccogliere nuove milizie, S. vi morì di febbre violenta il 17 gennaio 1468.

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