Rappresentazione di due vecchi tricicli arrugginiti, l'opera è un tributo alla memoria del piccolo Shinichi: un bimbo di tre anni perito, con la sorella di poco maggiore, nell'immane rogo atomico di Hiroshima mentre stava a cavalcioni del suo giocattolo. Un piccolo, in apparenza trascurabile episodio, legato ad un oggetto comune, diventa così memoria imperiture di una grande, straziante tragedia della storia umana. Una storia, per altro, "smemorata", se oggi torna a riaffacciarsi l’ipotesi di una prossima guerra nucleare, con scarsa o nulla considerazione da parte dei decisori politici per i suoi catastrofici effetti, a dispetto di quelle posizioni antibelliciste e “no nukes” che i più davano per universalmente acquisite e  non negoziabili. Di qui la scelta della duplicazione speculare dell'immagine: un rafforzativo di tipo retorico, se vogliamo, ma con l'obiettivo di stigmatizzare la guerra ed esorcizzare il fantasma di quel "fungo" di fuoco e morte che nel 1945 straziò tanti altri, inermi Shinichi, e che  oggi torna di prepotenza a tormentare l'immaginario di una post-modernità forse post-atomica.