La banda XXII ottobre gruppo terroristico di estrema sinistra, attivo in Italia tra il 1969 e il 1971, Leader Mario Rossi Genova 19 agosto 1942 | Dai cancelli alle Stragi opera di Romina Petrini

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quadri in vendita online - La banda XXII ottobre  gruppo terroristico di estrema sinistra, attivo in Italia tra il 1969 e il 1971, Leader Mario Rossi Genova 19 agosto 1942 | Dai cancelli alle Stragi opera di Romina Petrini

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24 Maggio 2024


50 anni fa, a Torino, nasceva il Nucleo Speciale di Polizia Giudiziaria, costituito da 40 Carabinieri scelti dal Generale dalla Chiesa per svolgere le più complesse indagini a livello nazionale. 

Nel video del giornalista Fabrizio Feo, realizzato in occasione del trentennale del Raggruppamento Operativo Speciale, un approfondimento sul metodo investigativo. 


Post Originale 

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GNOSIS

La banda ‘XXII ottobre’ a Genova

e la malavita come terrorismo


Antonio MARINO


Quella della banda ‘XXII ottobre' è la storia di un gruppo di giovani genovesi le cui azioni delittuose sconvolsero, tra il 1969 ed il 1971, la tranquillità del capoluogo ligure. E’ la storia, in particolare, di un gruppo, autodefinitosi rivoluzionario, di ispirazione politica di estrema sinistra, mosso da una precisa volontà di contestazione violenta dell'assetto dei rapporti sociali, economici e politici dell'Italia della fine degli anni '60, che lasciò comunque, dietro di sé numerosi interrogativi circa la sua effettiva entità, forza numerica ed eredità politico-ideologica. Lo studio degli eventi che caratterizzarono l'operatività del gruppo, nella città di Genova, non è mai stato particolarmente approfondito. Tra coloro che vollero dare alla ‘XXII ottobre’, agli esordi delle proprie vicende delittuose, un primo tratto distintivo, prevalse, sempre, l'idea che, in fondo, detta compagine altro non fosse che un insieme di disorganizzati che giocavano a fare la rivoluzione. E, in questo senso, l'appellativo di "banda" che fu attribuito loro, la dice lunga sulla mitezza dei giudizi espressi nei confronti del gruppo. In realtà, la scia di attentati e di morte che ha segnato il, pur breve, passaggio della ‘XXII ottobre’ sulla scena genovese ed il preciso legame instauratosi tra i propri appartenenti e le Brigate Rosse del sequestro Sossi, si pone in evidente asintonia con il menzionato prevalente intento di ridimensionare il fenomeno che, almeno agli inizi, sembrava prevalere.


Assassinio Floris

(foto d'archivio)


Lo scopo per cui nacque il gruppo ‘XXII ottobre’ - per stessa ammissione dei suoi appartenenti- era stato quello di introdurre, nella vita politica italiana, il metodo della guerriglia urbana, caratterizzato da esplosioni, incendi e sabotaggi, dandone la maggiore pubblicità possibile nella speranza di ottenere, così, il progressivo diffondersi di un sostegno popolare alle proprie azioni ed ai propri obiettivi. Per utilizzare lo stesso linguaggio dei componenti della banda, il fine perseguito dal gruppo ‘XXII ottobre’ era quello di "scardinare i poteri dello Stato".

Questo almeno è quanto emergeva dai propositi manifestati dai membri dell'organizzazione; non si può certo nascondere che, da una rilettura critica delle vicende legate alla vita del gruppo, lo spessore politico dei suoi appartenenti -vertice incluso- fosse piuttosto modesto e che a muovere l'organizzazione sia stata, forse, la ricerca, ad ogni costo, di un cambiamento radicale in evidente dissenso dal modo con cui il PCI dell'epoca portava avanti le proprie battaglie politiche.

Sotto il profilo prettamente operativo la banda ‘XXII ottobre’ non faceva mistero di ispirarsi ai metodi della guerriglia urbana, teorizzati dal rivoluzionario brasiliano Carlos Marighella nel suo "Piccolo Manuale del guerrigliero urbano". Molte delle azioni, poste in essere dal gruppo, collimavano perfettamente, quanto anche gli obiettivi prescelti, con i contenuti del manuale che individuava nei rappresentanti del mondo capitalistico ed industriale (tra cui gli Stati Uniti d'America), ed in coloro che ne preservavano l'integrità, i nemici contro cui condurre una sfiancante e sistematica azione di sabotaggio e distruzione.

Non è un caso se, tra le imprese delittuose realizzate dal gruppo ‘XXII ottobre’, vi siano stati attentati incendiari nei confronti di aziende o gruppi industriali che rappresentavano, all'epoca, i simboli più chiari del capitalismo italiano (tra cui la Ignis e la raffineria Garrone) e, altresì, all'indirizzo di obiettivi di evidente rappresentatività istituzionale (sede del consolato USA di Genova o caserme dell'Arma dei Carabinieri).

Ma l'aspetto che più segnò, in negativo, le sorti della banda e ne compromise ogni velleità di futuro consolidamento ed affermazione fu l'incapacità di far leva sul movimento di protesta che si era formato in Italia, sul finire degli anni '60, e di creare con esso un terreno di confronto e, al contempo, di sostegno alle proprie azioni.

Era prevalsa, probabilmente, la convinzione-presunzione che la Genova dell'inizio degli anni '70 avesse ancora conservato i connotati che l'avevano caratterizzata nel corso del secondo conflitto mondiale, che erano valsi, peraltro, a conferire alla cittadinanza la medaglia d'oro della resistenza - o, in epoca più recente, le stesse pulsioni che avevano portato alla caduta del governo Tambroni, per i noti episodi di Piazza de' Ferrari dell'estate del 1960.

In realtà, questa aspirazione, quella cioè di unire in un unico contesto sociale i movimenti studenteschi dell'autunno caldo del 1969 e le lotte operaie per i diritti sindacali nelle fabbriche, si concretizzò solo qualche anno più tardi a partire dal 1975, epoca in cui la ‘XXII ottobre’ poteva oramai solo essere ricordata come una tra le tante pagine tristi e sanguinose che segnarono la storia del terrorismo rosso nella città di Genova.

Non che la banda avesse sottovalutato l'importanza dell'attività di propaganda e, soprattutto, la necessità di rimarcare il legame ideologico con i movimenti del passato. Le famose interferenze sul primo canale della R.A.I., con cui il gruppo rivendicò le sue prime azioni delittuose, e, poi, tutte le altre iniziative realizzate nel corso del 1970 e del 1971, dimostravano l'attenzione riposta dall'organizzazione verso una forma embrionale di propaganda mediatica e, ancor più, il richiamo che in esse si faceva alla denominazione di GAP (Gruppi di Azione Partigiana) ed alla lotta verso il capitalismo, il fascismo, gli industriali, gli Usa, la Nato e la Spagna franchista, denotavano, almeno in teoria, la volontà di far leva sullo spirito di lotta contro l'oppressore, che era stato il propulsore emotivo della resistenza condotta dai primi gruppi di azione partigiana genovesi dopo il settembre del 1943.


Il gruppo e i suoi appartenenti


Leader indiscusso della compagine associativa fu il genovese Mario Rossi, all'epoca dei fatti poco più che trentenne. Assieme a lui furono individuati come fondatori del gruppo, che prende il nome dal giorno in cui fu costituito - ossia il 22 ottobre 1969 - Augusto Viel, Giuseppe Battaglia, Adolfo Sanguineti e Alfredo Maino.

La stragrande maggioranza dei suoi appartenenti, che arriveranno ad essere in tutto non più di 25, nel periodo di massima capacità organica del gruppo, proveniva dalla Val Bisagno (1) ed erano, per lo più, esponenti del ceto proletario, anche se, come si vedrà, il dato più caratteristico della ‘XXII ottobre’ era quello della eterogeneità delle provenienze politiche dei suoi appartenenti.

Alcuni di essi vantavano anche un’ iscrizione al Partito Comunista Italiano, ma è assodato che gli stessi maturarono, ben prima dell'avvio delle azioni della banda, un orientamento di decisa rottura con la politica e l'organizzazione del PCI, aderendo, in particolare, ai nascenti gruppi maoisti.

Ma a far parte della ‘XXII ottobre’ furono anche soggetti che, per i trascorsi ed i precedenti giudiziari, erano del tutto estranei ad una connotazione politica, che concepivano l'appartenenza alla compagine associativa nel più puro spirito utilitaristico di ripartizione dei proventi economici delle azioni criminali e che in maniera alcuna risultavano mossi da spinte o moti ideologici.

Fu proprio la tolleranza verso la presenza di sodali indifferenti alla causa ideologica del gruppo, a minarne la compattezza.

Occorre scartare, come già si è detto, l'idea che si sia trattata di una aggregazione spontanea o meramente ideologica, mentre, invece, è più aderente alla realtà sostenere che la banda ‘XXII ottobre’ sia stata il risultato, invero modesto, di una "operazione politica" che ha saputo pescare il materiale umano tra quattro realtà dell'estremismo ligure: gruppi con tendenze maoiste, gruppi di quartiere, gruppi afferenti alla criminalità comune e gruppi di fascisti (era il caso del militante Diego Vandelli).


La progettualità del gruppo


E' certa la possibilità di ripartire in due fasi, distinte ma non separate, la vita della compagine terroristica. Una prima, che vede la costituzione di un nucleo eterogeneo di persone, accomunate da una critica, generica e confusa, alla linea politica espressa dal movimento operaio ed il successivo contatto tra alcune sue componenti e personaggi equivoci, appartenenti al locale sottobosco politico.

Una seconda, contrassegnata, invece, dalla repentina decisione del gruppo di darsi un'organizzazione militare sul modello dei guerriglieri sudamericani (ne furono chiara testimonianza le giornate di addestramento, in vero e proprio stile militare, svolte dal gruppo nelle zone collinari circostanti la località di Pigna (IM) che, nell'idea originaria del Rossi, sarebbero dovute servire sia ad accrescere il potenziale organizzativo-militare del gruppo sia a far maturare, nei singoli, quel comune senso di appartenenza di cui i militanti erano ancora privi).

Vi è stato un periodo in cui queste due anime della ‘XXII ottobre’ si sono venute fondendo: è grosso modo l'epoca in cui Rossi e compagni organizzarono una serie di azioni, con metodo di guerriglia, per portare il proprio attacco e manifestare, con violenza, il proprio dissenso nei confronti degli esponenti di quel capitalismo filo-americano considerato reo di finanziare e proteggere, nella loro visione, le trame nere del Paese.

In tale ottica si collocano le iniziative alla raffineria petrolifera di Arquata Scrivia (AL), del 18 febbraio 1971, di proprietà di quell'Edoardo Garrone che i militanti della ‘XXII ottobre’ ritenevano un "gran corruttore di Stato", un "avvelenatore dei proletari", nonché "fascista, vicino alla idee del Principe nero Junio Valerio Borghese" (2) .

Come fu ricostruito dagli inquirenti, gli autori avevano utilizzato del tritolo o della dinamite per perforare, all'interno della raffineria, le pareti del contenitore a sfera, pieno di propano-butano, provocando così la micidiale esplosione ed il conseguente incendio, ricorrendo, poi, alle solite interferenze televisive per rivendicare l'azione e propagandarne i risultati.

L'operazione alla raffineria Garrone fu un successo, sia sotto il profilo della valenza politica, in quanto i danni causati dall'incendio avevano portato un duro colpo economico per la famiglia ed un inevitabile rallentamento delle attività produttive, sia sotto quello militare poiché tutte le operazioni, a cominciare da quella di sopralluogo nelle settimane precedenti l'attentato, erano state eseguite alla perfezione e senza alcuna difficoltà.

Di pochi giorni precedente l'esplosione alla raffineria Garrone era stato l'attentato al deposito della Ignis, del 6 febbraio 1971. Come per l'attentato alla raffineria Garrone, l'azione alla Ignis di Sestri Ponente, da cui divampò un incendio di enormi proporzioni, fu rivendicata attraverso le medesime modalità; la voce, inserita nelle trasmissioni televisive, questa volta aveva di mira l'imprenditore Donghi, proprietario della Ignis, "reo di arricchirsi sulle spalle degli operai e di finanziare le squadriglie fasciste".

Nello stesso iter programmatico dovevano essere collocati gli attentati alla sede del Consolato Usa di Genova di Piazza Portello dell' 8 maggio 1970, ed alla sede del Partito Socialista Unitario di via Teano del 24 aprile 1970.

Entrambe le iniziative, così come quella nei confronti di un autoblindo dei Carabinieri,posteggiato nei pressi della Caserma di via Moresco a Genova, si caratterizzavano per le medesime modalità operative. Erano stati utilizzati dei cilindri di dinamite o di gelatina esplosiva collegati ad una miccia che si era spenta nel corso della combustione o, nel caso del consolato Usa, era stata fortunosamente scollegata dal personale di guardia evitando così, per puro caso, lo scoppio finale.

Evidente, quindi, che solo una pura fatalità fu ad impedire che, in tutte le descritte iniziative, non vi fossero stati morti o feriti ma solo danni materiali. L'arco notturno in cui erano stati realizzati gli attentati incendiari sembrava rispondere, maggiormente, alla scelta di rendere più difficile l'identificazione ed agevole la fuga, che non a quella di limitare al massimo il coinvolgimento di esseri umani.D'altronde era lo stesso manuale del guerrigliero, cui, più volte, Rossi e compagni si erano ispirati, a prescrivere l'effettuazione nottetempo delle iniziative.


Il sequestro Gadolla e la rapina

all'Istituto Autonomo Case Popolari


La parabola criminale del gruppo ‘XXII ottobre’ inizia e termina con due azioni tipicamente dirette al sostentamento economico dell'organizzazione.

E' un destino curioso quello che lega i due episodi delittuosi: il primo consacra la comparsa di Rossi e dei suoi sodali nella galassia delle organizzazioni criminali dell'epoca, il secondo, relativo all'iniziativa all’ Istituto Autonomo Case Popolari (IACP), invece, ne saggerà la pochezza delle capacità operative e l’approssimativa organizzazione, sancendone, inevitabilmente, la fine.

Il sequestro del figlio dell'industriale genovese Gadolla apre, a Genova, la lunga serie di sequestri di persona che caratterizzeranno tutta l'area ligure-piemontese nel corso del decennio 1970-1980.

Sarebbe, tuttavia, un errore accostare, semplicisticamente, il sequestro di Sergio Gadolla, ad opera del gruppo ‘XXII ottobre’, a quello del magistrato Mario Sossi, di qualche anno più tardi, messo in atto dalle Brigate Rosse.

E' certo, infatti, che a spingere il gruppo di Rossi e sodali a sottrarre alla propria famiglia il giovane Gadolla non fu la ricerca di un’ affermazione politica o di un riconoscimento ufficiale da parte dello Stato, bensì la necessità di sopperire alle esigenze di carattere economico, di cui necessitava la compagine associativa agli inizi della sua esistenza. Per alcuni dei membri del gruppo (in primis il Viel) l'azione aveva avuto una finalità di puro arricchimento personale, obiettivo che un' azione isolata ed individuale non avrebbe sicuramente garantito.

Ecco perché, già da un punto di vista di dignità politica, il sequestro Gadolla non ebbe nulla a che vedere con esigenze di affermazione, all' esterno, dell'esistenza del gruppo.

Peraltro, la riuscita dell' azione fu più il risultato di una combinazione di circostanze fortunose che non la sintesi delle capacità organizzative della ‘XXII ottobre’; più volte Rossi e compagni furono sul punto di desistere dal proseguire l'azione delittuosa e solo la caparbietà di alcuni dei suoi appartenenti consentì di portarla a termine.

Nei mesi successivi all'ottenimento del riscatto si registrarono, infatti, alcune defezioni e fuoriuscite dall'organizzazione, a conferma dell'atteggiamento prettamente utilitaristico assunto da alcuni dei partecipanti al sequestro del giovane Gadolla.

Nonostante alcuni grossolani errori commessi dal gruppo ‘XXII ottobre’ nel corso dell’azione, come le numerose impronte digitali rinvenute dalle forze di polizia all'interno dell’ autovettura abbandonata dai sequestratori o, addirittura, gli indumenti di alcuni degli appartenenti della banda dimenticati nel bagagliaio della stessa, il sequestro Gadolla fu vissuto dall'opinione pubblica con preoccupata attenzione, accresciuta dalla novità di una tipologia di azione che, prima di allora, non aveva avuto eguali in Genova e dintorni.

Era nettamente palpabile, tra la popolazione e tra gli addetti ai lavori, la sensazione che ci si trovasse di fronte ad una impresa del tutto fuori portata per la malavita genovese, più propensa al controllo ed alla gestione diretta dei traffici di droga e prostituzione, nei pressi dello scalo marittimo, che ad imbarcarsi in un’ impresa tanto rischiosa e dal risultato finale così incerto. Né le modalità con cui era stata condotta l’azione e la richiesta di riscatto avanzata autorizzavano ad individuare nel banditismo sardo l'area di riferimento investigativo.

Troppo diverso dai rapimenti gestiti, in quegli anni, dai sardi, era stato il sequestro Gadolla, così come, differente era stato, l'atteggiamento tenuto dai sequestratori del giovane rispetto alle modalità con cui i sequestratori sardi erano soliti gestire i contatti con la famiglia del rapito.

Si era diffusa rapidamente l'idea che il sequestro Gadolla fosse il segnale di un mutamento delle condizioni e degli equilibri criminali che si erano venuti creando e si erano sedimentati nel corso del tempo, nel capoluogo ligure; rottura di equilibri che solo un fenomeno così peculiare, come quello, emergente, del terrorismo, poteva creare.

Ed anche le ferventi consultazioni con le fonti di informazione, che le forze di polizia avevano sollecitato nei giorni successivi al rapimento, conducevano tutte nella stessa direzione: escludevano, con certezza, la possibilità di attribuire al contesto criminale genovese la responsabilità di un' azione così eclatante.

Le responsabilità del rapimento erano da ricercarsi, sì nel medesimo contesto geografico, ma in tutt'altra linea direttrice.

L'effetto sorpresa sulle forze dell'ordine fu tale da rendere vani e decisamente poco produttivi gli sforzi investigativi attivati nell'immediatezza. Fu gioco facile, per i componenti del gruppo, portare a termine l'operazione, assicurandosi l'intera somma del riscatto, circa 200 milioni, che, per l'epoca, costituiva un importo certamente considerevole.

Furono solo i dissidi interiori e le difficoltà incontrate nella custodia del prigioniero, sulle alture del monte Bue, accresciute dalle precarie condizioni atmosferiche, a rappresentare una seria minaccia per la riuscita del sequestro.

Tuttavia, l’errore di fondo commesso dal Rossi e dagli altri consociati fu di non aver saputo ben parametrare l'effettiva consistenza dei mezzi a disposizione, sia umani che materiali nella scelta degli obiettivi delle proprie azioni.

E' fuori discussione che, rispetto alle azioni incendiarie e dimostrative di cui si è fatto cenno in precedenza, ben altra preparazione richiedevano azioni come quella, rivelatasi poi fatale per il gruppo, della rapina in danno all'Istituto Autonomo Case Popolari (IACP).

Mai come in questa ipotesi delittuosa furono evidenti i limiti organizzativi dei membri della ‘XXII ottobre’ che parteciparono all'iniziativa.

La scelta di rapinare lo IACP era stata, infatti, determinata, semplicemente, dalla convinzione di poter contare sulle informazioni fornite da uno degli appartenenti del gruppo, Battaglia, all'epoca impiegato presso l'Istituto. Inutile dire che la scelta dell'obiettivo si rivelò, a posteriori, doppiamente infausta. Ciò, non solo per la imprevista resistenza del fattorino, Alessandro Floris, che trasportava la borsa contenente il denaro -ucciso poi, dai colpi di pistola sparati dal Rossi - ma per l'errore valutativo di aver scelto come obiettivo un Istituto che, per eccellenza, incarnava gli interessi del mondo proletario e dei suoi appartenenti.

Fu questo, senza dubbio, l'errore strategico più madornale, commesso da Rossi e sodali. Un errore che fu, ulteriormente, amplificato ed enfatizzato dalla morte di un giovane impiegato, di umilissime origini, ammazzato nel compimento del proprio dovere; la tragica fine di Floris celava, inoltre, dietro di sé anche il consumarsi di un tradimento, quello del Battaglia, che aveva rivenduto all'organizzazione le informazioni sugli orari e modalità di trasporto dei soldi dell'Istituto.

Questi aspetti, certo, influirono nel qualificare oltremodo negativamente le gesta criminali della banda ‘XXII ottobre’, al di là delle, già gravi, responsabilità connesse alla rapina sfociata in omicidio. A rivelarsi fatali, come anticipato, furono, anche qui, le imprecisioni e l’approssimazione che avevano contraddistinto le fasi esecutive dell'azione.

Pur potendo contare sulle informazioni fornite dal Battaglia, Rossi e compagni non erano stati in grado di mettere a punto un piano particolareggiato ed efficace, idoneo a far fronte, anche, ad eventuali imprevisti.

Fu sufficiente la modifica del percorso solitamente effettuato dai fattorini dello IACP per far saltare i già labili schemi operativi e per gettare nella confusione il Rossi che, dopo aver sottratto la borsa ad uno dei fattorini, pensò bene di arrestarne l'inseguimento sparandogli alcuni colpi di pistola. Gli ultimi istanti della vita di Alessandro Floris furono immortalati in alcune istantanee realizzate da un fotoamatore posizionato alla finestra della propria abitazione, proprio negli istanti in cui si consumava la tragedia. Le immagini, cristallizzate nelle foto, furono un marchio indelebile per Rossi, non solo ai fini dell'accertamento della sua responsabilità in sede processuale ma per l'intera opinione pubblica, che potè apprezzare visivamente la ferocia mortale del Rossi nell'atto di sparare all'inerme fattorino.

Questo spiega l'atteggiamento di intransigenza anche da parte di settori che, per tradizione ideologica, avrebbero dovuto assumere un comportamento di maggiore indulgenza nei confronti di Rossi e compagni.

D'altronde, come più volte ribadito, il Manuale di Carlos Marighella, bibbia ispiratrice delle azioni del gruppo, dedicava nelle sue pagine un ampio risalto alla necessità che ogni azione, dimostrativa o diretta all'autofinanziamento, non sfociasse nella morte o, anche solo, nel ferimento di popolazione civile.



Il processo al gruppo ‘XXII ottobre’


L'intera vicenda giudiziaria, che si aprì con l'arresto in flagranza del Rossi e del Viel, dopo il loro vano tentativo di fuga, ebbe un vasto eco mediatico, non solo su Genova e sul territorio nazionale ma, anche, all'estero. In Italia il clima del processo al gruppo ‘XXII ottobre’ rifletteva, in ogni aspetto, lo sdegno e la riprovazione per chi non aveva esitato ad uccidere barbaramente un uomo pur di ottenere un vantaggio economico.

Ma accanto ad una così estesa richiesta di punizione esemplare, il processo alla banda registrò anche la vibrante protesta delle difese degli imputati che, a più riprese, lamentavano la sistematica violazione del diritto di difesa verificatasi nel corso dell'iter giudiziario.

In particolare, ad essere contestate furono la regolarità di molti degli interrogatori degli imputati e la limitata possibilità lasciata alle difese di contestare, anche attraverso ricostruzioni alternative, le conclusioni cui era giunta l'accusa.

E le presunte distorsioni che avrebbero connotato il processo alla ‘XXII ottobre’ ricevettero, comunque, un interesse anche transnazionale, per il sostegno che i militanti del gruppo ricevettero dalla sinistra francese, attraverso le pagine del quotidiano Liberation. In Francia si registrò, addirittura, il formarsi di un movimento denominato "Comité aux camarades du XXII ottobre" in sostegno alla causa morale dei compagni italiani, sottoposti ad un processo, a loro dire, "degno delle dittature sudamericane".

Ad aderire al "comitato" furono anche autorevoli esponenti della cultura francese, tra cui lo scrittore Jean Paul Sartre ed il regista Jean Luc Godard, che condivisero, a pieno, i proclami e gli anatemi che, attraverso le sue colonne, il quotidiano Liberation aveva lanciato all'indirizzo dell'apparato giudiziario italiano, colpevole di aver trasformato un omicidio involontario in un omicidio volontario e di avere, in definitiva, condannato, come complici, anche coloro che non avevano partecipato alla tragica azione delittuosa.



foto ansa


Si sanzionava, in particolare, l'operato dei giudici, senza distinzione di ruolo e funzione, rei di aver irrogato pesanti condanne senza prove effettive, attraverso testimonianze definite "ridicole", ed approfittando di un'opinione pubblica distratta dall'aumento dei prezzi, dallo scandalo del petrolio, dalla corruzione dei governanti; in sintesi, si imputava all'autorità giudiziaria di aver soffocato la difesa processuale dei membri della ‘XXII ottobre’ e di averla resa oltremodo difficoltosa, anche a causa dei numerosi e sistematici spostamenti, da un istituto penitenziario all'altro, cui erano continuamente sottoposti i membri del gruppo.

Tra le immagini che più emblematicamente descrivono lo stato d'animo e lo sconforto dei membri del gruppo, vi è quella che ritraeva Mario Rossi, con barba lunga e pugno chiuso, che, da dietro le sbarre, invitava, in maniera veemente e sfrontata, i giudici della Corte d'Assise d'appello a chiudere rapidamente il processo ed a confermare le condanne inflitte in primo grado.

Va detto che la detenzione subita dal Rossi, nel periodo a cavallo del processo di primo e secondo grado, ne aveva, in parte, mitizzato la figura.

Quella che poteva sembrare, all'inizio, l'icona di un trentenne un po' sbandato e dedito, come molti suoi coetanei dell'epoca, alle rapine ed alla politica fatta nelle strade a suon di botte e slogan urlati durante le manifestazioni di protesta, si era progressivamente venuta modificando, senza che Rossi in verità vi avesse realmente contribuito.

Era stato il fenomeno di quella che potremmo definire "mitizzazione carceraria" a far divenire Mario Rossi il leader di un vero e proprio piccolo partito armato, non certo la sua modesta produzione politico-teorica.

E, ancor più, lo era stato l'accostamento, invero eccessivamente semplicistico, tra i Gruppi di azione partigiana (GAP), vera anima della resistenza genovese, ed i militanti della ‘XXII ottobre’; accostamento decisamente azzardato sotto il profilo storico, che aveva finito per riconoscere a Rossi e sodali uno spessore ideologico che non teneva conto della reale consistenza del gruppo.

Si era, allora, fatta largo, soprattutto in ambito giornalistico, l'idea che questa sopravvalutazione delle potenzialità del gruppo rispondesse ad una precisa scelta strategico-repressiva, frutto della necessità di dover trovare un'adeguata giustificazione alle pesanti condanne inflitte ai componenti della banda.

Sarebbe stata, in altri termini, una costruzione giudiziaria, il moto ideologico che avrebbe animato Rossi e compagni nel loro percorso criminale, culminato con l'uccisione del povero Floris.

D'altronde, come già si è detto, la produzione teorica del gruppo passava per il solo Mario Rossi ed è chiaro che il ritratto di un leader impegnato a trascrivere, dietro le sbarre, su carta igienica, il proprio manuale del guerrigliero, attingendo a piene mani dall'opera di Marighella, non rappresentava certo, per l'epoca, elemento di sicura consistenza ideologica dell'organizzazione.

Ma nella storia della ‘XXII ottobre’ è possibile scorgervene una più piccola, quella cioè, che prende le mosse dal magistrato, rappresentante dell'ufficio del Pubblico Ministero, che condusse le indagini e poi l'accusa nel processo alla banda ‘XXII ottobre’: Mario Sossi.

In virtù della fama da "duro", che si era guadagnato sin dalle prime inchieste di un certo spessore e clamore, condotte a Genova nei primissimi anni '70, Mario Sossi rappresentava, per gli ambienti della sinistra radicale genovese, l'emblema dell'apparato repressivo dello Stato fascista. Si spiega così la montante protesta ed il coro di reazioni violente che si scatenarono negli ambienti ideologicamente vicini alle idee di Rossi e compagni quando fu chiaro che le sorti giudiziarie del gruppo ‘XXII ottobre’ sarebbero passate anche per le valutazioni di detto magistrato.

A Sossi venne, ben presto, attribuita la paternità e gli esiti decisionali di un processo giudicato privo dei requisiti minimi di legalità. Si trattava di un segnale preoccupante, la cui gravità fu però ampiamente sottovalutata; nessuno, all'epoca, era arrivato ad ipotizzare che quella che appariva, ai più, come una semplice guerra psicologica, condotta nei confronti di un magistrato a colpi di slogan e scritte sui muri o comunque come una campagna fortemente critica del suo operato scrupoloso e fermo, potesse lasciare il posto, dopo soli pochi mesi dalla conclusione degli eventi giudiziari, al suo rapimento ad opera delle neo costituite Brigate Rosse.

Ma soprattutto, nessuno avrebbe mai immaginato che il prezzo richiesto per la liberazione del Dott. Sossi potesse essere quello della rimessione in libertà dei militanti della ‘XXII ottobre’ cui, peraltro, anche dopo il giudizio d'appello, erano state confermate le condanne emesse in primo grado.

Con il sequestro del giudice Sossi si scrive forse l'ultima, ma decisiva, tappa della storia della ‘XXII ottobre’, sicuramente fondamentale per comprendere, con maggiore chiarezza, le origini del fenomeno terroristico di sinistra.

Con la richiesta di liberazione di Rossi e compagni fu, universalmente, chiara l'esistenza di un legame genetico tra il gruppo ‘XXII ottobre’ e le Brigate Rosse; un vincolo che, pur non dimostrato sul piano giudiziario, autorizzava a ricondurre le prime BR nel solco politico ideologico, ancorché sfumato, che Rossi e compagni avevano tracciato con le proprie iniziative.

D'improvviso, quelli che erano stati, forse non a torto ma con eccessiva frettolosità, qualificati come figli del dissesto culturale ed ideologico o altrimenti come lo spaccato più cruento del "movimento" che si andava diffondendo in quegli anni, vennero ribattezzati come i padri putativi della realtà terroristica emergente.

A distanza di anni, si può ragionevolmente sostenere che il rapporto di filiazione che sembrava legare le BR al gruppo ‘XXII ottobre’ fosse più apparente che concreto.

Gli esempi, purtroppo anche recenti, che la storia più che trentennale del terrorismo italiano ha fornito, autorizzano una valutazione differente rispetto a quella elaborata, a caldo, in quegli anni. Nel senso, cioè, di poter affermare che non ogni azione terroristica, che si esteriorizzava anche attraverso richieste di liberazione di compagni prigionieri appartenenti a formazioni eversive differenti, valeva ad attribuire un sicuro rapporto di filiazione tra gruppi.

E' vero, invece, che simili atteggiamenti devono essere letti piuttosto come rivelazione di una condivisione di un percorso politico strategico comune, di una vera e propria adesione intellettuale alla progettualità altrui.

Ed allora se anche il rapporto BR - ‘XXII ottobre’ viene letto in questi termini, si può dare una spiegazione alle difficoltà degli investigatori nell'individuare un riscontro rivelatore dell'esistenza di una sorta di passaggio di consegne tra le due formazioni.

Con la scelta delle BR di liberare il dottor Sossi, senza il rilascio, in contraccambio, di alcun detenuto del gruppo ‘XXII ottobre’, cala definitivamente il sipario sull'organizzazione di Mario Rossi e compagni.



Conclusioni


Come spesso accade nella storia italiana, anche le gesta criminali del gruppo ‘XXII ottobre’ e la sua breve, ma pur intensa, esistenza sono state, in più occasioni, riportate alla memoria quando, nella città di Genova, si sono verificati negli anni a seguire, altri episodi di lotta politica culminati con il versamento di sangue.

Per Genova e la sua cittadinanza il sinistro ricordo delle azioni di Rossi e compagni ritornava prepotentemente d'attualità ogni volta che le cronache giudiziarie degli anni '70 e '80 davano notizia di morti e feriti, nel nome di un’ assurda lotta armata.

Ma c'è un dato peculiare che accomuna la Genova della ‘XXII ottobre’ a quella delle Brigate Rosse ed è quello costituito dal netto rifiuto che la cittadinanza genovese seppe opporre alla preoccupante avanzata del fenomeno terroristico.

Bisogna togliersi dalla mente che, in fondo, fenomeni come la ‘XXII ottobre’ e, poi, le Brigate Rosse fossero il naturale frutto della storia della resistenza genovese.

Il capoluogo ligure fu una delle poche città in cui più evidente fu il contrasto al fenomeno terroristico e in cui più netta fu la collaborazione della cittadinanza con le forze dell'ordine. Il sacrificio di personaggi come il sindacalista Guido Rossa costituisce l'emblema più evidente della resistenza del tessuto sociale genovese alla ideologia della lotta armata.

Era questa la vera essenza della resistenza genovese, quella di una città in cui il movimento operaio, altrove vera e propria fucina delle organizzazioni terroristiche, era stato, almeno nella sua maggioranza, in grado di resistere alle lusinghe di chi, dietro il falso mito della dittatura del proletariato, aveva saputo solo seminare morte e tragedia.



(1) Quest'area del capoluogo ligure, già durante il secondo conflitto mondiale, si era segnalata per essere la zona di origine di gran parte dei partigiani che avevano alimentato le lotte sulle montagne dell'Appennino ligure-piemontese.

(2) Così espressamente dagli atti processuali.


© AGENZIA INFORMAZIONI E SICUREZZA INTERNA

https://gnosis.aisi.gov.it/gnosis/Rivista6.nsf/ServNavig/11


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Davanti ai cancelli 

della Fiat con 

Berlinguer, il 26 

settembre 1980


di LORENZO GIANOTTI


La testimonianza di chi accompagnò il segretario del Pci nella visita ai lavoratori durante i 35 giorni di lotta, 40 anni fa


26 SETTEMBRE 2020


Fonte


https://www.google.it/amp/s/torino.repubblica.it/cronaca/2020/09/26/news/davanti_ai_cancelli_della_fiat_con_berlinguer_quel_26_settembre_1980-268581047/amp/?espv=1


Se Berlinguer non fosse 

morto, Napolitano si 

sarebbe dimesso


GIUGNO 14, 2015


Nella foto in alto: 26 settembre 1980 – Enrico Berlinguer davanti ai cancelli FIAT di Mirafiori a Torino promette l’appoggio del PCI alle lotte degli operai in sciopero, anche in caso di occupazione della fabbrica; In basso: Giorgio Napolitano con Gianni Agnelli. Secondo il racconto di Napolitano, i due si erano incontrati per la prima volta in America nel 1978 instaurando un rapporto di “schietta cordialità e simpatia”


Fonte:

https://ilviziodellaparola.wordpress.com/2015/06/14/se-berlinguer-non-fosse-morto-napolitano-si-sarebbe-dimesso/


Enrico Berlinguer viene allontanato dal palco a seguito del malore sofferto durante il comizio a Padova


Data 07/06/1984


Fonte:

https://it.m.wikipedia.org/wiki/Enrico_Berlinguer#/media/File:Berlinguer_Padova_1984.jpg


Enrico Berlinguer

Ex Membro della Camera dei deputati della Repubblica Italiana


Enrico Berlinguer, AFI, è stato un politico italiano, tra le figure più influenti e iconiche della cosiddetta Prima Repubblica. Attivo nell'antifascismo sardo, nel 1943 s'iscrisse al Partito Comunista.


Nascita: 25 maggio 1922, Sassari


Morte: 11 giugno 1984, Padova


Fonte: 

https://it.m.wikipedia.org/wiki/Enrico_Berlinguer




Mirafiori Accordi e Lotte


1969-75


L’autunno caldo e la conquista di poteri e diritti di cittadinanza nei luoghi di lavoro. La prima crisi petrolifera

Nel periodo tra la fine del 1968 e l’inizio del 1969 si avverte un’accelerazione dei processi e delle tensioni sociali alla Fiat; entrano in campo anche nuovi protagonisti: gruppi del movimento studentesco iniziarono a essere presenti con continuità davanti alle porte della Fiat diffondendo parole d’ordine e indicazioni in evidente concorrenza con le organizzazioni sindacali, anche sull’onda di avvenimenti come il “maggio francese”. Fim, Fiom, Uilm e Sida sottoscrissero un patto di unità d’azione che, con il Sida, durò tutto il 1969 e i primi mesi del 1970.


1969 – L’autunno caldo

Le vertenze applicative della primavera estate ’69 a Mirafiori hanno avuto una conclusione positiva, in particolare con la conquista dei delegati sulle linee di montaggio. In questo modo si è giunti alla formazione del Consiglio di fabbrica, “il Consiglione”, che si è rivelato strumento indispensabile per il governo della successiva vertenza contrattuale.


L’autunno caldo


Con la fine del 1969 scadeva anche il rinnovo del Ccnl dei metalmeccanici: questa vertenza chiuse definitivamente una fase delle relazioni industriali in Italia e accreditò definitivamente il sindacato unitario come un nuovo importante soggetto sociale. Il rinnovo contrattuale del 1969 fu ribattezzato “l’autunno caldo” per la vastità del conflitto sociale che si aprì nel paese; ma uno dei punti centrali di questo scontro fu indubbiamente la Fiat, che cercò di assumere fin dall’inizio un ruolo di leader nello schieramento delle aziende metalmeccaniche, proponendo immediatamente la pregiudiziale sulla contrattazione articolata, con l’obiettivo di ridurne la funzione.


Furono organizzate per la prima volta imponenti manifestazioni a Torino per il Centro-Nord (25 settembre), a Napoli per il Centro-Sud (16 ottobre) e infine una manifestazione nazionale a Roma con oltre 100.000 metalmeccanici (28 novembre). La vertenza ebbe anche momenti molto difficili in occasione dell’uccisione di un agente di polizia, Antonio Annarumma, il 19 novembre a Milano, in seguito a uno scontro con un gruppo estremista; ma ancor più gravi con gli attentati del 12 dicembre a Milano e a Roma che provocarono la strage di Piazza Fontana e che al momento, con una tipica operazione di depistaggio, furono attribuiti agli anarchici. Al di là dell’influenza che questi episodi ebbero sulla storia del nostro paese, al momento furono utilizzati per creare delle pressioni nei confronti dei sindacati per chiudere immediatamente le trattative rinunciando a una parte delle rivendicazioni. Un altro elemento di ricatto furono i 200 licenziamenti di militanti sindacali, che la Fiat attuò nel mese di novembre e che determinò un’ulteriore rottura delle trattative. Su questo aspetto fu soprattutto la Fim che insistette su una linea intransigente nei confronti della Fiat, coinvolgendo l’insieme del fronte sindacale nel legare la conclusione della vertenza con il ritiro dei licenziamenti.


Alla fine i licenziamenti furono ritirati, come fu ritirata la pregiudiziale confindustriale sulla contrattazione articolata: l’accordo fu raggiunto il 21 dicembre con la mediazione del Ministro del lavoro Carlo Donat Cattin e fu firmato formalmente l’8 gennaio 1970. L’accordo conteneva significative novità con l’acquisizione di importanti diritti collettivi e individuali, quali le 10 ore di assemblea sindacali retribuite, il riconoscimento dei rappresentanti sindacali in azienda e le moderne procedure per i provvedimenti disciplinari con il diritto alla contestazione per il lavoratore; inoltre prevedeva la progressiva riduzione dell’orario settimanale a 40 ore e un aumento retributivo di 13.500 lire al mese uguale per tutti. Con questo accordo il sindacato metalmeccanico acquisiva il diritto di cittadinanza e di organizzazione all’interno della fabbrica e consolidava il rapporto unitario che si avviava a diventare organico.


1971 – Torino Manifestazione in Piazza S. Carlo

La FIAT si riorganizza


Nel 1970 Umberto Agnelli subentrò nella carica di amministratore delegato, sostituendo Gaudenzio Bono, che era stato considerato il braccio destro di Vittorio Valletta. Questo ricambio completava l’opera di rinnovamento del vertice aziendale, ma avrebbe comportato anche rilevanti modifiche nella stessa struttura aziendale con la successiva divisionalizzazione della Fiat e il superamento dell’organizzazione monolitica e accentrata che aveva caratterizzato l’epoca di Valletta. Ciò fu attuato nel 1970 con la costituzione di tre gruppi operativi: automobili, veicoli industriali e prodotti diversificati.


La Fiat iniziava a misurarsi con le prime difficoltà di un mercato che si dimostrava meno prevedibile; mentre si manifestavano primi fenomeni di concorrenza, con la liberalizzazione del mercato dell’automobile all’interno del mercato comune europeo nel 1968. Le nuove condizioni di concorrenza e le incertezze della Fiat comportarono una riduzione strutturale della quota di mercato in Italia, che nel 1969 era di poco inferiore al 70%, mentre nel 1970 era già scesa al 64% circa, nonostante l’acquisizione dell’Autobianchi all’inizio del 1968 e del gruppo Lancia nell’autunno del 1969, e avrebbe continuato a diminuire nel corso degli anni settanta.


I Consigli di Fabbrica e lo Statuto dei diritti dei lavoratori


Il periodo immediatamente successivo al rinnovo contrattuale del 1969 deve essere considerato una fase di consolidamento organizzativo dei sindacati alla Fiat, mentre in Fim, Fiom e Uilm maturano importanti scelte strategiche, come l’individuazione nei Consigli di Fabbrica della struttura sindacale unitaria nei luoghi di lavoro, con il conseguente superamento della C.I., nella prima Conferenza unitaria il 15 e 16 marzo 1970.


Non va dimenticato che il 20 giugno del 1969 Giacomo Brodolini, predecessore di Donat Cattin al Ministero del lavoro, aveva presentato la proposta di legge dello Statuto dei diritti dei lavoratori, che il Parlamento approvò l’anno successivo. La legge 20 maggio 1970, n° 300, stabilì diritti individuali e sindacali fondamentali nei luoghi di lavoro, dando cittadinanza al sindacato nelle fabbriche.


Nel 1971 Mirafiori occupa oltre 60.000 lavoratori, tra operai e impiegati. Nello stesso anno scoppia lo scandalo dello spionaggio Fiat, che porta a scoperchiare l’esistenza di 350.000 schedature di dipendenti e di cittadini, redatte con la collusione di interi settori dei carabinieri e la complicità di parte della magistratura torinese. Il processo verrà spostato a Napoli, per legittima suspicione, inizierà nel 1976 e si concluderà con una condanna di primo grado nel 1978, successivamente il processo di appello terminerà con la prescrizione dei reati dato il protrarsi dei tempi dei procedimenti giuridici.


1972 Conferenza nazionale dei delegati metalmeccanici a Genova

La FLM


Nella Conferenza dei delegati metalmeccanici che si tenne a Genova, dal 29 settembre al 2 ottobre del 1972, fu ratificata l’unificazione sindacale tra Fim, Fiom e Uilm con la costituzione della Federazione Lavoratori Metalmeccanici (Flm). Il processo unitario incontrava maggiori ostacoli nelle Confederazioni sindacali, che, dopo una lunga discussione e forti contrasti, erano arrivate a sancire un patto federativo il 25 luglio 1972, mentre l’impegno allo scioglimento delle singole confederazioni e all’unificazione, da attuare entro il 1973, non fu mai attuato.


Nel frattempo è necessario ricordare che era cambiata la situazione politica con l’elezione del democristiano Leone come Presidente della Repubblica, con i voti decisivi dell’estrema destra, nel dicembre del 1971; inoltre il fallimento del centro-sinistra aveva portato alla formazione del primo governo Andreotti di centro-destra nel febbraio del 1972. Il risultato delle elezioni politiche nel maggio del 1972, dove la sinistra aveva subito una flessione, aveva dimostrato che le lotte sociali non si traducevano immediatamente in risultati politici. Un episodio indicativo di quella fase fu la cosiddetta rivolta di Reggio Calabria, scatenata dalla scelta di Catanzaro come capoluogo di regione. La violenta protesta, nota come “boia chi molla”, era egemonizzata dall’estrema destra fascista e durava da molti mesi. La Flm decise una manifestazione pubblica di massa il 20 ottobre 1972, con una folta partecipazione di lavoratori Fiat: la manifestazione a Reggio Calabria fu caratterizzata da provocazioni e attentati, ma ebbe un effetto positivo nell’isolare la spinta eversiva della destra.


Il rinnovo contrattuale del 1973 e il “patto dei produttori”


In questa situazione il rinnovo contrattuale del 1973 presentava evidenti rischi, soprattutto a fronte un padronato metalmeccanico che si era organizzato nella Federmeccanica e che si proponeva di sfruttare la mutata situazione politica con qualche proposito di rivincita rispetto al precedente rinnovo contrattuale. Lo scontro fu molto duro: il confronto durerà sei mesi, con 80 ore di sciopero dichiarate (ma a Mirafiori saranno di più) e una manifestazione nazionale a Roma il 9 febbraio con la partecipazione di 250.000 metalmeccanici.


La Fiat sarà ancora una volta in primo piano per le dichiarazioni di Gianni Agnelli che, in un’intervista giornalistica, propone un patto sociale tra produttori, imprenditori e lavoratori, contro la rendita parassitaria per modernizzare il paese; contemporaneamente il fratello Umberto accusava la direzione della Confindustria di non saper affrontare i nuovi problemi sociali. Infine negli ultimi giorni di marzo a Mirafiori si innesca lo sciopero a oltranza con l’occupazione delle portinerie. “L’occupazione” di Mirafiori, fabbrica-simbolo con circa 55.000 dipendenti, ha un forte impatto sull’opinione pubblica.


L’accordo viene raggiunto il 2 aprile; tra i principali contenuti ha i seguenti punti: l’Inquadramento Unico su sette livelli per operai, intermedi e impiegati, le 150 ore di diritto allo studio, quattro settimane di ferie per tutti, 39 ore settimanali per il settore siderurgico, 16.000 lire di aumento uguale per tutti dei minimi retributivi. Gli aspetti normativi quali il diritto allo studio e l’inquadramento professionale comportavano necessariamente una contrattazione applicativa che ebbe un forte sviluppo. Da questo punto di vista il rinnovo contrattuale del 1973 è altrettanto importante come quello del 1969 per la qualità dei contenuti conquistati, ma anche per aver bloccato i propositi di rivincita di Federmeccanica. L’elezione di Gianni Agnelli alla carica di Presidente della Confindustria sancirà questo cambiamento d’impostazione, consolidato successivamente nell’accordo interconfederale sul punto unico di contingenza, il 25 maggio 1975.


La prima crisi petrolifera


Intanto, una serie di avvenimenti internazionali aveva iniziato a mettere in crisi l’ordine economico internazionale, in particolare alla fine del 1973 scoppia una nuova guerra in Medio Oriente (la cosiddetta guerra dello Yon Kippur iniziata il 6 ottobre 1973) a cui segue un fortissimo rialzo dei prezzi del petrolio. Prima ancora, nell’agosto del 1971, il Presidente degli U.S.A., Richard Nixon, aveva denunciato gli accordi di Bretton Woods, determinando lo sganciamento del dollaro dall’oro. Ciò comportò il superamento del sistema dei cambi fissi, sancito successivamente dagli accordi della Giamaica del 1976, che adottarono un nuovo sistema di cambi flessibili: questi atti, suggeriti dai teorici neoliberisti, ebbero conseguenze rilevanti e avviarono una nuova fase economica internazionale caratterizzata da un’accentuata instabilità.


La guerra del Kippur e il successivo rialzo dei prezzi del petrolio fecero solamente precipitare e aggravare la crisi, che in Italia è accompagnata da un forte rialzo inflazionistico. Gli incrementi record del prezzo della benzina avrà inevitabili conseguenze sul mercato dell’automobile e già alla fine del 1973 si avvertono i primi segni del rallentamento della domanda, con immediati effetti sulla produzione. Per la prima volta dopo molti anni la Fiat pone migliaia di lavoratori in cassa integrazione.


Il terrorismo e il cambiamento del quadro politico


Negli stessi anni si aggrava la strategia della tensione con gli attentati terroristici, di matrice fascista, di Piazza della Loggia a Brescia (28 maggio 1974) e del treno Italicus (4 agosto 1974) che provocarono molti morti e feriti. A Mirafiori si verificarono le prime iniziative delle Brigate Rosse con il rapimento di un sindacalista della Cisnal e del capo del personale della Sezione Auto, Ettore Amerio.


Nel 1975, il 15 giugno, si svolsero le elezioni amministrative che videro un successo della sinistra e del Pci in particolare e che cambiarono il quadro politico del paese. Il governo della città di Torino e il Piemonte furono conquistati dalle sinistre. La vittoria del Pci alle elezioni politiche nel giugno dell’anno successivo portò questo partito nell’area di governo, da cui era escluso dal 1947: con i governi Andreotti iniziò la fase della “solidarietà nazionale” e sembrò che si aprisse un percorso nuovo della politica italiana.


ISMEL – Istituto per la Memoria e la Cultura del Lavoro dell’Impresa e dei Diritti Sociali – www.ismel.it è attuale gestore del sito Mirafiori accordi e lotte

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Fonte:

https://www.mirafiori-accordielotte.org/1969-75/




ANNIVERSARIO


Cinquant’anni fa le schedature Fiat

Novembre 1971 – Giudicati e condannati, nel febbraio 1978, per corruzione e violazione di segreto d’ufficio, 36 imputati tra cui 5 dirigenti Fiat e un alto dirigente della Questura. Li inchiodano 350 mila schedature – una cifra enorme, un terzo degli abitanti di Torino – a opera della Fiat …


Di Pier Giuseppe Accornero


 -16 Dicembre 2021


Giudicati e condannati, nel febbraio 1978, per corruzione e violazione di segreto d’ufficio, 36 imputati tra cui 5 dirigenti Fiat e un alto dirigente della Questura. Li inchiodano 350 mila schedature – una cifra enorme, un terzo degli abitanti di Torino – a opera della Fiat. I padroni diffidano dei propri lavoratori e non si accontentano delle raccomandazioni di parroci e sindaci. Temono che gli operai si rendano conto che il padrone toglie loro la vita fingendo di dare un lavoro: 350.000 schede su opinioni politiche e vita privata; tendenze sindacali e vita sessuale dei dipendenti.


Il 24 settembre 1970 cotale Caterino Ceresa intenta causa alla Fiat sostenendo di aver svolto per anni mansioni diverse rispetto al contratto: assunto nel 1953 come «fattorino», ha fatto prevalentemente lo spione con relazioni scritte su «qualità morali, trascorsi penali e rispettabilità delle persone con le quali la società era o doveva entrare in relazione» in modo da scartare, isolare ed emarginare comunisti e sindacalizzati. Il 9 luglio 1971 Angelo Converso, pretore del Lavoro di Torino, «gira» alla Pretura penale gli atti. Il 5 agosto il magistrato Raffaele Guariniello si presenta ai cancelli con l’ordine di accesso all’archivio dei Servizi generali. Mancano i funzionari che aprono la cassaforte perché in ferie. Guariniello torna a settembre e trova il tesoro: 350 mila schede. Molti documenti provengono da Procura, Polizia e Carabinieri.


Lo spionaggio andava avanti dagli anni Cinquanta dominati da Vittorio Valletta: nel dopoguerra attua la politica «del bastone e della carota». La Fiat si regge su un pesante controllo di capi, capetti e «guardioni» in ogni momento e in ogni angolo: non ci si può muovere senza essere sorvegliati. Il controllo è finalizzato alla produzione e alla disciplina interna. Nella più grande concentrazione industriale d’Italia gli operai si sentono soffocati. Per contrastare i comunisti della Fiom-Cgil, Valletta favorisce la nascita dell’autonomo Sindacato italiano dell’automobile-Sida; stronca la classe operaia: scioperi osteggiati; sindacalisti marcati stretti; sindacato giallo foraggiato; operai indocili, attivisti comunisti e sindacalisti deportati nei «reparti confino»: l’«Officina Stella Rossa», ex «Officina Sussidiaria Ricambi».


Sul banco degli imputati Mario Cellerino, ex colonnello dei Carabinieri e responsabile della sicurezza aziendale; il colonnello Enrico Stettermjer del Sid di Torino riceve dalla Fiat 150 mila lire al mese; numerosi funzionari della Questura ricevono elargizioni e regali in cambio di informazioni. Schedano lavoratori, ex partigiani, sindacalisti, giornalisti, uomini politici. Nel 1951 Clare Boothe Luce, ambasciatrice degli Stati Uniti in Italia, impone a Valletta di cacciare i comunisti: 812 (per difetto) licenziati dagli stabilimenti di Torino. «Occupato alla Fiat Ricambi ex partigiano garibaldino: a causa della sua ideologia è stato più volte cambiato di reparto. Oggi lavora alla “Stella Rossa”». Il licenziamento è un marchio infamante che impedisce di trovare un nuovo lavoro. Giovanni Pautasso, bravo verniciatore, sindacalista, licenziato, non trova più lavoro. Un mattino si presenta alla Camera del lavoro: aveva trascorso la notte a smontare un circo per 500 lire. Due ore dopo si butta nelle acque del Po.


Gli spioni riservano alle donne una particolare morbosità: «Trattasi di donna giovane e avvenente ma di moralità discussa. Le sue relazioni con uomini sono notorie e hanno suscitato sfavorevoli commenti». «Sua madre è passata a seconde nozze nel luglio scorso. Durante la vedovanza ha lasciato desiderare per la condotta morale e civile e ha avuto anche un aborto». La Fiat punta anche a far entrare i fascisti da aizzare contro la Fiom. A servizio dei padroni le parrocchie: «Operaio a Mirafiori dal 1951, di tendenze comuniste: tutti gli anni quando passa il sacerdote a benedire la casa, gli vieta l’ingresso». A disposizione della Fiat vi sono le caserme dei Carabinieri, i commissariati di Pubblica Sicurezza, la Questura: «Dalle note spese risulta al soldo della Fiat l’intero apparato poliziesco di Torino. Fra questi Marcello Guida, ex direttore nel Ventennio della colonia penale di Ventotene; dal 1969 questore di Torino, comanda le cariche di corso Traiano. Riceve dalla Fiat un milione l’anno, per «aiuto durante le manifestazioni e gli scioperi». I meglio retribuiti sono Ermanno Bessone e Aldo Romano, capo e commissario dell’Ufficio Politico della Questura: 250-400 mila lire mensili; sempre presenti a manifestazioni, scioperi, picchetti, comandano cariche e arresti. L’archivio della Questura è a disposizione della Fiat.


«Il sottufficiale addetto all’Ufficio Politico della Questura riceveva dalla Fiat i pacchi di schede già intestate, nelle quali doveva versare tutte le notizie che riusciva a reperire negli archivi, nelle caserme e commissariati di tutta Italia». Ai vertici dell’Arma il tenente colonnello Enrico Stettermayer, capo del nucleo speciale dei Carabinieri di Torino e referente dei Servizi informativi Difesa (Sid), riceve 150 mila lire al mese. «Oltre a 150 stipendi extra per agenti e funzionari, la Fiat sovvenziona Polizia e Carabinieri fornendo cancelleria, pagando le manutenzioni, il caffè e le bevande calde alle guardie impegnate contro i picchetti». Si aggiungono migliaia di benefit (cioccolatini, bottiglie di Cinzano, acqua di colonia, orologi e strenne varie) inviati a migliaia di carabinieri, poliziotti, vigili urbani, ufficiali delle Forze Armate, magistrati, dipendenti di Comuni e Ministeri.


Questa immensa corruzione va a processo, non a Torino ma a Napoli. Alla congiura del silenzio della stampa italiana risponde il coraggio degli avvocati di parte civile Pier Claudio Costanzo e Bianca Guidetti Serra. L’accesso agli atti, protetto da rigido segreto istruttorio, impedisce la costituzione di parte civile degli operai licenziati. Ma Costanzo e Guidetti Serra riescono a far passare la costituzione di parte civile dei sindacati. Per più di 40 udienze a Napoli – e non hanno a disposizione gli aerei Fiat – per due anni si scontrano con mille ostacoli, rinvii e il segreto politico militare. Dice Bianca Guidetti Serra: «L’importante è che si sia svolto il processo come momento di verità». Il 13 novembre 1971 sindacati, partiti, movimenti politici e associazioni indicono l’assemblea «La città deve sapere» presieduta dall’avvocata ed ex partigiana Guidetti Serra: «Per oltre vent’anni la schedatura è stato strumento di una gestione autoritaria i cui effetti si sono estesi ben oltre la fabbrica».


Fonte:


https://vocetempo.it/cinquantanni-fa-lo-scandalo-delle-schedature-fiat/


Strage di piazza Fontana

attentato terroristico compiuto a Milano nel 1969


La strage di piazza Fontana fu conseguenza di un grave attentato terroristico compiuto il 12 dicembre 1969 nel centro di Milano presso la Banca Nazionale dell'Agricoltura che causò 17 morti e 88 feriti. È considerata «la madre di tutte le stragi», il «primo e più dirompente atto terroristico dal dopoguerra», 

«il momento più incandescente della strategia della tensione» e da alcuni è ritenuta l'inizio del periodo passato alla storia in Italia come anni di piombo, ma è da ritenersi apice di azioni precedenti come gli attentati alla Fiera Campionaria di Milano nell'aprile 1969 e i falliti attentati coevi in piazza Scala e a Roma.


La strage della Banca dell'Agricoltura non fu la più atroce tra quelle che hanno insanguinato l'Italia, ma diede avvio al periodo stragista della "strategia della tensione", che vide realizzarsi numerosi attentati, come la strage di piazza della Loggia del 28 maggio 1974 (8 morti), la strage del treno Italicus del 4 agosto 1974 (12 morti) e la più sanguinosa strage di Bologna del 2 agosto 1980 (85 morti).


Fonte: 

https://it.wikipedia.org/wiki/Strage_di_piazza_Fontana




UNA GRANDE MANDRIA DI VACCHE!! IL NUOVO ORDINE DISEGNATO DA GIANNI AGNELLI E COMMISSIONE TRILATERALE!


Scriveva sin dagli anni sessanta un docente universitario americano, Kenneth Bouldin: "Si può perfettamente concepire un mondo dominato da una dittatura invisibile nel quale tuttavia siano state mantenute le forme esteriori del governo democratico".


https://digilander.libero.it/dansofia/diz1.htm



SABATO

07 luglio 1990


 < >


Presidenza Francesco Cossiga


Incontro del Presidente della Repubblica Francesco Cossiga con Henry Kissinger, accompagnato dall'Avv. Gianni Agnelli, Presidente della FIAT.


https://archivio.quirinale.it/aspr/fotografico/PHOTO-002-000314/presidente/francesco-cossiga/incontro-del-presidente-della-repubblica-francesco-cossiga-henry-kissinger-accompagnato-dall-avv-gianni-agnelli-presidente-della-fiat



da "LE VERITA' NEGATE" di Ferdinando Imposimato


<Aldo Moro cominciò a morire nel 1963.


Gli anni dal 1963 al 1968 furono indicati dagli storici come quelli del “primo centro sinistra”. Ma furono caratterizzati dalla violenta reazione delle forze reazionarie dentro e fuori il nostro Paese, che fecero ricorso ad ogni mezzo per ostacolare l'ingresso delle forze della sinistra nel Governo italiano. 


Il primo Governo Moro venne varato nel dicembre 1963 con la partecipazione del PSI , del PSDI e del PRI. Vicepresidente del Consiglio fu Pietro Nenni. Presto, la crisi del primo Governo Moro, nel giugno del 1964, segnò una svolta negativa per la democrazia italiana: con essa si concluse in modo definitivo la prima fase del centro sinistra. Questa fase aveva avuto il suo inizio con l'incontro tra Nenni e Saragat e la rottura della Unità delle sinistre. Il 27gennaio 1962, al VII congresso della DC a Napoli, era prevalso l'asse Moro Fanfani per l'apertura a sinistra.


Il declino di Moro fu progressivo ma inesorabile. 


Contro di lui agirono gli stessi suoi apparenti estimatori. 

Nel luglio 1964 venne varato un nuovo Governo Moro con vice presidente Nenni, ma con un programma moderato dovuto alla presenza di tutti gli esponenti della destra che salirono sul "carro" del centro sinistra. 

Si preparavano ad affossare Moro, senza tenerlo fuori dal potere. Cominciò una specie di assedio da parte dei suoi nemici, che si comportavano in modo tollerante. Da Emilio Colombo, a Giulio Andreotti, incollato alla Difesa e alla guida della organizzazione omicida, Gladio, da Franco Restivo, in contatto con la Mafia siciliana e con Tommaso Buscetta, a Oscar Luigi Scalfaro, che aveva cominciato la scalata al potere, senza rifiutare dei presunti "doni".


Si verificò l'eterogenesi dei fini del "moroteismo. Mentre il Segretario della DC, Mariano Rumor, prese a lavorare per una ricomposizione della DC con l'obiettivo di superare il sistema delle correnti interne. Moro, guidò il secondo governo di centro sinistra, con PSI , PSDI e PRI, ma sentendosi sempre più isolato: la voce diffusa anche nel suo partito era che fosse un comunista ... persino un sacerdote di Maddaloni, amico di Andreotti, lo accusava di essere un comunista.


Il 24 febbraio 1966, Moro varò il suo terzo Governo di Centro sinistra, sostenuto da DC, PSI, PSDI , PRI, alla Difesa vi mise il socialdemocratico Roberto Tremelloni. Ma a controllare i gangli vitali di quel Ministero era Francesco Cossiga, sottosegretario alla Difesa, inserito saldamente al vertice di Gladio, l'organizzazione incostituzionale ed assassina.


Nell'autunno 1966 il PSI e il PSDI si riunivano nel PSU, con la benedizione della CIA. 


Il Sifar si diede da fare per formare fascicoli personali contro politici, parlamentari e sindacalisti. Il 31 gennaio 1967, il Ministro della Difesa Tremelloni confermò l'esistenza di fascicoli raccolti dal Sifar e la scomparsa di molti di essi, compresi quelli intestati ad egli stesso ed al Presidente della Repubblica Saragat, eletto nel dicembre 1964, con i voti dei comunisti.


I nemici del centrosinistra stavano organizzando un'offensiva senza precedenti che avrebbe portato alla lunga stagione delle stragi. 


L'esordio avvenne nella primavera del 1969 , ma fu preceduto dall'avvento al Governo nel giugno del 1968 di Giovanni Leone, che durò poco. Ad esso fece seguito, nel dicembre 1968, il Governo di Mariano Rumor, che comprendeva i socialisti unificati (PSU) e il PRI. A questo Governo succedette, nell'agosto del 1969, il secondo Governo Rumor, che eliminò Nenni e inserì diversi elementi della destra militanti nella DC . Moro divenne Ministro degli Esteri.


[27.12.2016- archivio Presidente Imposimato]


 •

Citazione Criminale

La mia generazione non conosce la parola rimosso 

Francesca Mambro

Fonte 


 «Mi sono sempre presentato con rispetto a ogni persona che ho avvicinato. Mi ricordo la Mambro, vista dentro a un carcere, che mi diceva: "La mia generazione non conosce la parola rimorso". Allora voleva dire che non avavano avuto modo di riflettere su quella scia di sangue che per tanto tempo ha segnato la nostra vita. E io guardavo questa ragazza e pensavo al mio amico Tobagi, a Carlo Casalegno: a due giornalisti morti soltanto per aver scritto delle parole che non piacevano a questi altri poveri ragazzi esaltati e frutto di una pessima educazione e di una cattiva cultura.» Enzo Biagi


Rai 3 per Enzo Biagi - Gli anni del Terrorismo: domani, domenica 3 maggio, alle 13:00.

https://www.facebook.com/share/v/fdE51D7nhgntzCSC/



I Terroristi

Neri e Rossi

Si Raccontano 

Dalla contestazione del Sessantotto allo stragismo – da Piazza Fontana in poi -, dalla nascita delle BR al sequestro Moro: tutti gli episodi più tragici sono narrati in prima persona da chi li ha in gran parte diretti.


Firma

Mondadori

Presidente 

Marina Berlusconi


https://books.google.com/books/about/La_notte_della_Repubblica.html?hl=it&id=A5yVBQAAQBAJ#v=onepage&q&f=false



Dario Arkel

scrittore e saggista italiano


Dario Arkel (Genova, 15 novembre 1958) è un pedagogista italiano.


Dario Arkel nasce a Genova il 15 novembre 1958. Dopo gli studi classici, si iscrive alla Facoltà di Sociologia dell'Università di Urbino, dove è allievo di Umberto Piersanti.


Fonte 

https://it.wikipedia.org/wiki/Dario_Arkel




Umberto Piersanti

poeta italiano


«[...] ora mancano tutti, manca una casa solo prima di nascere l'ho avuta»


(U. Piersanti - da Nel Tempo Che Precede)


Umberto Piersanti (Urbino, 26 febbraio 1941) è un poeta italiano.


Fonte 

https://it.wikipedia.org/wiki/Umberto_Piersanti


*

Belve 

Senza 

Rimorso 

Distinti saluti

Romina Petrini



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    Caltanissetta, Sicilia - Italia
    2.162
    150
    Perplessità
    di Alys Melcon
    Caltanissetta, Sicilia - Italia
    2.189
    150
    Sbigottimento
    di Alys Melcon
    Caltanissetta, Sicilia - Italia
    1.838
    150
    Linguaccia
    di Alys Melcon
    Caltanissetta, Sicilia - Italia
    1.743
    150
    Stupore
    di Alys Melcon
    Caltanissetta, Sicilia - Italia
    1.653
    150
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