Marina ti racconto dei lingotti della Banca d'Italia ai beni degli ebrei: indagine sui tesori scomparsi "ORO NAZISTA"? Mario ti racconto Banca Rasini fondata nel 1954 a Milano?

di World Art Education

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Descrizione

L'Oro nazista una caccia infinita - GNOSIS - Rivista italiana di intelligence


“Caccia all'oro nazista” si apre con la vicenda del tesoro della Banca d'Italia, 120 tonnellate d'oro, tra cui otto provenienti dalla Banca nazionale jugoslava ...


Fonte:

https://gnosis.aisi.gov.it/Gnosis/Rivista28.nsf/servnavig/20




Agenzia informazioni e sicurezza interna

agenzia di controspionaggio, parte dei servizi segreti italiani


L'Agenzia informazioni e sicurezza interna (nota anche con l'acronimo AISI) è l'organizzazione di investigazione informativa, delegata alla sicurezza interna della Repubblica Italiana.


Direttore

Bruno Valensise

Fonte:

https://it.wikipedia.org/wiki/Agenzia_informazioni_e_sicurezza_interna




Caccia all'oro nazista. Dai lingotti della Banca d'Italia ai beni degli ebrei: indagine sui tesori scomparsi


di Enzo A. Cicchino , Roberto Olivo


 Alta reperibilità


Editore:


Ugo Mursia Editore


Collana:


Testimon. fra cr. e st.Duemila e dintorni


Data di Pubblicazione:


16 giugno 2011


Descrizione


Nell'ottobre del 1943, i nazisti prelevarono alcune tonnellate d'oro dalla Banca d'Italia e le trasportarono prima a Milano e poi in un bunker all'interno del forte asburgico di Fortezza, in Alto Adige, per trasferirne poi parte in Germania l'anno successivo. La "febbre dell'oro", nei giorni convulsi del periodo bellico e dell'immediato dopoguerra, riguardò sia i nazisti sia i loro fiancheggiatori. Molti tesori, occultati in Baviera, Austria e Italia, sono stati ritrovati, ma di altri s'è persa ogni traccia, facendo nascere miti e leggende sui lingotti della Banca d'Italia e della Reichsbank, ma anche sui beni degli ebrei e sul tesoro di Dongo. Le ricerche condotte sul campo da una troupe televisiva negli anni Novanta, fra Trentino Alto Adige, Austria, Svizzera e altre località italiane, sono il pretesto per approfondire l'argomento con materiali inediti raccolti spulciando gli archivi e intervistando i protagonisti. L'indagine sui tesori scomparsi apre altri misteri sulla complessa storia d'Italia e d'Europa nel dopoguerra.


Fonte: 

https://www.libreriauniversitaria.it/caccia-oro-nazista-lingotti-banca/libro/9788842545002


Banca Rasini


La Banca Rasini è stata una piccola banca milanese, fondata nel 1954 ed inglobata nella Banca Popolare di Lodi nel 1992. Il motivo principale della sua fama è che tra i suoi clienti principali si annoveravano i criminali Pippo Calò, Totò Riina, Bernardo Provenzano (al tempo, uomini guida della Mafia) e l'imprenditore e uomo politico Silvio Berlusconi, il cui padre Luigi Berlusconi vi lavorava come funzionario. Le dichiarazioni di Michele Sindona sulla Banca Rasini la fanno citare più volte da Nick Tosches, un giornalista del The New York Times, nel suo libro I misteri di Sindona, e l'hanno resa nota tra gli studiosi internazionali che si occupano della storia della Mafia italiana.


Storia


La "Banca Rasini Sas di Rasini, Ressi & C." viene fondata nel 1954 dai milanesi Carlo Rasini, Gian Angelo Rasini, Enrico Ressi, Giovanni Locatelli, Angela Maria Rivolta e Giuseppe Azzaretto. Il capitale iniziale è di 100 milioni di lire. Sin dalle sue origini la banca è un punto di incontro di capitali lombardi (principalmente quelli della nobile famiglia milanese dei Rasini, proprietaria del feudo di Buccinasco) e palermitani (quelli provenienti da Giuseppe Azzaretto, uomo di fiducia di Giulio Andreotti in Sicilia).


Nel 1970 Dario Azzaretto, figlio di Giuseppe, diviene socio della banca. Sempre nel 1970, il procuratore della banca Luigi Berlusconi (padre di Silvio Berlusconi) ratifica un'operazione destinata ad avere un peso nella storia della Rasini: la banca acquisisce una quota della Brittener Anstalt, una società di Nassau legata alla Cisalpina Overseas Nassau Bank, nel cui consiglio d'amministrazione figurano nomi destinati a divenire famosi, come Roberto Calvi, Licio Gelli, Michele Sindona e monsignor Paul Marcinkus.


Nel 1973 la Banca Rasini diviene una S.p.a., ed il controllo passa dai Rasini 

agli Azzaretto. Il Consiglio di Amministrazione della Banca Rasini S.p.a. è costituito da Dario e Giuseppe Azzaretto, Mario Ungaro (avvocato romano e noto amico di Michele Sindona e Giulio Andreotti), Rosolino Baldani e Carlo Rasini.


Ma nel 1974, nonostante l'ottima situazione finanziaria della Banca Rasini (che nell'ultimo anno aveva guadagnato oltre un quarto del suo capitale), Carlo Rasini lascia la banca fondata dalla sua famiglia, dimettendosi anche dal ruolo 

di consigliere. Secondo gli analisti, le ragioni delle dimissioni di Carlo Rasini sono da cercarsi nella sua mancanza 

di fiducia verso il resto del Consiglio di Amministrazione, e degli Azzaretto in particolare.


Sempre nel 1974, Antonio Vecchione diviene Direttore Generale, ed in soli dieci anni il valore della banca esplode, passando dal miliardo di lire nel 1974 al valore stimato di circa 40 miliardi di lire nel 1984.


Il 15 febbraio 1983 la Banca Rasini sale agli onori della cronaca, per via dell'"Operazione San Valentino". 

La polizia milanese effettua una retata contro gli esponenti di Cosa Nostra a Milano, e tra gli arrestati figurano numerosi clienti della Banca Rasini, 

tra cui Luigi Monti, Antonio Virgilio e Robertino Enea. Si scopre che tra i correntisti miliardari della Rasini vi sono Totò Riina e Bernardo Provenzano. 

Anche il direttore Vecchione e parte dei vertici della banca vengono processati e condannati, in quanto emerge il ruolo della Banca Rasini come strumento per 

il riciclaggio dei soldi della criminalità organizzata.


Dopo il 1983, Giuseppe Azzaretto cede 

la banca a Nino Rovelli. Nino Rovelli è 

un imprenditore (noto soprattutto per la vicenda Imi-Sir) e non ha esperienza nel settore bancario. Nelle inchieste tuttora in corso sulla Banca Rasini, Nino Rovelli è spesso considerato un uomo che ha coperto la vera dirigenza della banca fino al 1992. Tuttavia, non esistono evidenze al riguardo, né ipotesi sui nomi dei veri amministratori della Banca.


Nel 1992 la Banca Rasini viene inglobata nella Banca Popolare di Lodi, ma è solo nel 1998 che la Procura di Palermo mette sotto sequestro tutti gli archivi della banca. I giudici di Palermo, anche a seguito delle rivelazioni di Michele Sindona (intervista del 1985 ad un giornalista americano, Nick Tosches) 

e di altri "pentiti", indicano la stessa banca Rasini come coinvolta nel riciclaggio di denaro di provenienza mafiosa. Tra i correntisti della banca figurava anche Vittorio Mangano, il mafioso che lavorò nella villa di Silvio Berlusconi dal 1973 al 1975.


Legami con la mafia


La Banca Rasini deve la sua fama tra gli studiosi della storia d'Italia, soprattutto alle dichiarazioni di Michele Sindona del 1984. Quando il giornalista del New York Times, Nick Tosches, chiese a Sindona (poco prima della misteriosa morte di quest'ultimo): «Quali sono le banche usate dalla mafia?» Sindona rispose: 

«In Sicilia il Banco di Sicilia, a volte. A Milano una piccola banca in Piazza dei Mercanti».


In effetti, le indagini successive alla retata dell'Operazione San Valentino dimostrarono ampiamente il ruolo della Banca Rasini nel riciclaggio dei soldi della mafia, ed i contatti dell'istituto coi più alti vertici mafiosi.


Il Commissario di Polizia Calogero Germanà ha ipotizzato che l'istituto, al pari della Banca Sicula di Trapani, fosse uno dei centri per il riciclaggio del denaro sporco di Cosa Nostra.


Legami con la famiglia Berlusconi


Tra i personaggi famosi con cui la Banca Rasini ebbe dei legami va citato l'imprenditore e uomo politico Silvio Berlusconi. Il padre di Silvio Berlusconi, Luigi Berlusconi fu prima un impiegato alla Rasini, quindi procuratore con diritto di firma, ed infine assunse un ruolo direttivo all'interno della stessa. 

La Banca Rasini, e Carlo Rasini in particolare, furono i primi finanziatori 

di Silvio Berlusconi all'inizio della sua carriera imprenditoriale. Silvio e suo fratello Paolo Berlusconi avevano un conto corrente alla Rasini, così come numerose società svizzere che possedevano parte della Edilnord, la prima compagnia edile con cui Silvio Berlusconi iniziò a costruire la sua fortuna.


La Banca Rasini risulta anche nella lista di banche ed istituti di credito che gestirono il passaggio dei finanziamenti di 113 miliardi di lire (equivalenti ad oltre 300 milioni di euro nel 2006) che ricevette la Fininvest, il gruppo finanziario e televisivo di Berlusconi, tra il 1978 ed il 1983.


Il giornale inglese The Economist cita ripetutamente la Banca Rasini nel suo noto reportage su Silvio Berlusconi, sottolineando che Berlusconi ha effettuato transazioni illecite per mezzo della banca. È stato infatti accertato che Silvio Berlusconi ha registrato presso la banca ventitré holding come negozi di parrucchiere ed estetista. Anche per fare chiarezza su questi fatti nel 1998 l'archivio della banca è stato messo sotto sequestro.


Fonte Wikipedia 

https://it.wikipedia.org/wiki/Banca_Rasini



Operazione San Valentino


L'Operazione San Valentino è stata un'inchiesta coordinata dai giudici Francesco Di Maggio e Percamillo Davigo sulle attività di Cosa Nostra a Milano negli anni '70 e nei primi anni '80.


L'operazione, scattata dopo due anni di indagini nella notte tra il 14 e il 15 febbraio 1983, portò all'arresto di 37 persone e un altro centinaio ricevette comunicazioni giudiziarie su tutto il territorio nazionale, principalmente con l'accusa di associazione a delinquere di stampo mafioso.


Antefatti


L'ufficio di Via Larga 13 a Milano

L'epicentro delle attività mafiose venne individuato in Via Larga 13, a pochi passi dal Duomo di Milano e dall'Università Statale. Ufficialmente sede di diverse società a responsabilità limitata (come la Datra, la Citam, la Prodalit, la Maprial e altre), in realtà tutte queste erano scatole, spesso vuote, dietro a cui agivano boss, commercialisti e uomini della finanza legati a Cosa Nostra, socio di maggioranza occulto di tutte le varie attività economiche legate a quelle società.


Dopo mesi di intercettazioni telefoniche, gli inquirenti tentarono un primo blitz il 25 giugno 1980, ma dalla portineria partì un tempestivo segnale d'allarme che fece trovare loro solamente degli impiegati, che confermarono il calibro dei frequentatori dell'ufficio.


Nell'elenco, oltre a conclamati mafiosi, vi era anche Antonio Virgilio, pugliese di Andria (paese in provincia di Bari), immobiliarista con diverse proprietà a Milano, tra cui quattro prestigiosi hotel del centro (Plaza, Bristol, Virgilio e Napoleon, oltre a beni immobili a Stresa, Forte dei Marmi e Sestri Levante, dove controllava un parco enorme e un complesso alberghiero da 100 miliardi di lire. Virgilio era in affari anche con l'immobiliarista Giuseppe Cabassi, il "re del nichel" Guido Angelo Terruzzi e anche con il chiacchierato Filippo Alberto Rapisarda[1].


Altra figura abitudinaria dell'ufficio era il finanziere Luigi Monti, concessionario per l'Italia della Panasonic e della Sanyo: vent'anni prima Monti vendeva porta a porta gli aspirapolvere della Folletto, poi la frequentazione con Joe Adonis lo portò a maturare un tale senso degli affari che all'epoca dell'inchiesta era proprietario di uno yacht con 20 uomini d'equipaggio e titolare di una quarantina di società. Un uomo talmente potente che riuscì addirittura a far rimuovere dall'incarico un ufficiale della Guardia di Finanza che aveva fermato alla dogana un carico di 80mila radio[2].


La Criminalpol cominciò a seguire le mosse di Virgilio e Monti per arrivare al "Tanino" di cui si parlava nelle intercettazioni telefoniche e con cui era in contatto anche il mafioso Vittorio Mangano. Gli inquirenti scoprirono che quel "Tanino" era proprio il boss di Cosa Nostra Ugo Martello, membro della famiglia palermitana della Bolognetta, latitante dal 1965.


Alla fine del periodo di osservazione, la Criminalpol trasmise alla procura della Repubblica di Milano un rapporto di 500 pagine in cui metteva nero su bianco il traffico di stupefacenti organizzato da Cosa Nostra, i cui proventi venivano riciclati da attività finanziarie pulite. Tutto sotto il controllo della grande centrale del narcotraffico diretta da Cosa Nostra americana.


Secondo l'accusa, Monti e Virgilio erano la dirigenza finanziaria dell'associazione che riciclava i proventi del narcotraffico a Milano. Ugo Martello, loro socio in una catena di Srl con sede legale in via Larga 13, era alle dirette dipendenze di Alfredo Bono, che aveva mandato suo fratello Giuseppe Bono su incarico della Commissione di Cosa Nostra americana con l'obiettivo di controllare i flussi di denaro e di raggiungere accordi per la spartizione dei mercati con gli uomini della camorra napoletana, interessati ad acquisire quote di mercato sotto la Madonnina.


Il collegamento con la Pizza Connection


•Per approfondire, vedi Processo Pizza Connection


Contemporaneamente alle indagini della Procura di Milano, anche l'Fbi statunitense progettava la sua controffensiva alla rete del narcotraffico di Cosa Nostra americana, che sarebbe sfociata nell'operazione, e poi nel ben più celebre processo, Pizza Connection.


Mettendo sotto controllo i telefoni di New York, di San Paolo del brasile, di Caracas, di parigi e di diverse città svizzere e italiane, gli investigatori americani riuscirono a ricostruire la pista dei soldi sporchi verso e in uscita dalla Svizzera. Si scoprì quindi che molte delle Srl che avevano sede in Via Larga 13 (come la Prodalit e la Maprial) erano intestatarie dei conti correnti svizzeri su cui finiva parte dei soldi del narcotraffico e dove il padrone di casa era Ugo Martello.


Gli arresti

Nella notte tra il 14 e il 15 febbraio 1983 scattò l'Operazione su tutto il territorio nazionale. Tra i 37 arrestati vi erano nomi destinati a far discutere, come Luigi Monti, Antonio Virgilio (preso sul tetto dell'Hotel Plaza mentre cercava di fuggire), Carmelo Gaeta, Giuseppe Bono, Nicola Capuano, Romano Conte, Nicolò Salamone, il cantante Giulio Di Dio e Carmelo Quattrone, segretario dell'attore Walter Chiari[3]. Tra i capi storici di Cosa Nostra al Nord risultavano Gerlando Alberti, Gaetano e Antonino Fidanzati, Alfredo Bono, Ugo Martello, Vittorio Mangano e Salvatore Enea.


Il ruolo di Carmelo Gaeta


Dopo gli arresti, gli inquirenti scoprirono che Carmelo Gaeta, l'ex-presidente della Borgosesia Lane arrestato nell'Operazione San Valentino, era stato anche il coordinatore di una manovra di compensazione finanziaria su scala internazionale che aveva fatto leva sui risparmi di una ventina di piccoli industriali brianzoli. In una borsa che Gaeta cercò di buttare via prima dell'arresto vennero rinvenuti mazzi di certificati patrimoniali emessi da società americane con sede nelle Antille olandesi per un valore nominale di alcune centinaia di milioni di lire. Attraverso un complesso meccanismo di rimesse internazionali Gaeta, che poteva contare di una certa credibilità manageriale, aveva rastrellato soldi per gli investimenti di Cosa Nostra[4].


La Banca Rasini


Nello scandalo venne coinvolta anche la Banca Rasini, il cui direttore generale, Antonio Vecchione, venne rinviato a giudizio per "violazione dei doveri inerenti al pubblico servizio nell'esercizio del credito". Una delle classiche operazioni della banca era infatti quella di emettere assegni circolari fittizi in occasione di rogiti o altri contratti, che poi venivano annullati una volta che erano stati esibiti come garanzia.


Il processo


Nell'aprile 1985 iniziò il processo di primo grado e il 24 dello stesso mese venne arrestato Salvatore Enea, in via Plinio 38, da solo e senza armi.


A dibattimento concluso, la sentenza di primo grado inflisse 13 anni a Ugo Martello e 11 ad Antonio Virgilio (la richiesta della procura era stata di 16 anni), 8 a Luigi Monti (contro i 13 chiesti), mentre tutti gli altri imputati vennero condannati con pene dai 3 ai 6 anni. Oltre alle forti riduzioni di pena rispetto alle richieste dell'accusa, i giudici di primo grado disposero anche il dissequestro di tutti i beni per i quali era stata chiesta la confisca. Le assoluzioni furono 15 e l'accusa di associazione mafiosa venne ritenuta valida solo per Martello e Virgilio, non per gli altri imputati.



Ulteriori gradi di giudizio

Appello


Il 24 febbraio 1988, cinque anni dopo il blitz, il processo d'appello si concluse con ulteriori riduzioni di pena, come ad esempio 6 anni a Virgilio, 5 a Monti, 9 anni e 6 mesi a Ugo Martello.


Cassazione


Il 21 agosto 1991 la prima sezione della Cassazione, presieduta da Corrado Carnevale detto l'Ammazzasentenze, annullò la condanna di Monti e Virgilio, disarticolando quindi tutto l'impianto accusatorio. Nelle 233 pagine di motivazione, il presidente affermò che il fatto che gli imputati "si frequentassero, concludessero affari con boss del calibro dei fratelli Bono, Salvatore Enea o con società del gruppo Inzerillo, e che questi legami non fossero né privati né occasionali o sporadici, bensì per motivi e ragioni di comuni interessi, assistenza e finanziamenti e operazioni speculative" non costituiva garanzia e certezza di illegalità e nemmeno indizio di mafiosità[5].


Bibliografia


Mario Portanova, Giampiero Rossi, Franco Stefanoni, Mafia a Milano - Sessant'anni di affari e delitti, Milano, Melampo Editore, 2011


Fonte: 

https://www.wikimafia.it/wiki/Operazione_San_Valentino


Mario Portanova 

Giampiero Rossi

Franco Stefanoni


MAFIA A MILANO


SESSANT'ANNI DI AFFARI E DELITTI


Introduzione di Nando Dalla Chiesa


Melampo, 2011



Descrizione


La mafia non esiste, dicono i governanti padani, come i loro colleghi del Sud nel secolo scorso. Con poche eccezioni, anche le associazioni imprenditoriali e professionali non la vedono. Chi nega, chi minimizza, chi ostenta stupore di fronte alle indagini che svelano densi intrecci tra criminalità, mondo degli affari e amministratori pubblici. Eppure a Milano e in Lombardia la mafia c'è, ben radicata da oltre mezzo secolo: i pionieri della 'ndrangheta e di Cosa nostra arrivarono negli anni Cinquanta; seguirono gli uomini della camorra e della Sacra corona unita. Da allora ne hanno fatta di strada. "Mafia a Milano" racconta, in modo organico e completo, una storia di successo, di arricchimento, di emancipazione. La stagione dei sequestri di persona, la finanza nera di Sindona e Calvi, l'arresto di Liggio, i colletti bianchi del narcotraffico che facevano riferimento allo "stalliere" di Berlusconi e Dell'Utri, i quartieri di periferia controllati e militarizzati. Fino ai grandi processi degli anni Novanta, conclusi con la condanna di centinaia di boss e soldati ormai naturalizzati nel cuore del nord. Nel nuovo millennio, le cosche dettano legge nei cantieri, accumulano enormi patrimoni immobiliari, guidano holding familiari. Complice il silenzio che li circonda, i clan trapiantati a Milano e dintorni si sono riorganizzati e rafforzati. Per dare l'assalto all'economia e alla politica. introduzione di Nando Dalla Chiesa.


Fonte

https://www.ibs.it/mafia-a-milano-sessant-anni-libro-vari/e/9788889533574


Dalla Chiesa: cosa penso di ciò che scrisse papà ad Andreotti - Il Fatto Quotidiano


La lettera - Il documento agli atti del processo Pecorelli. Quel maresciallo delle guardie carcerarie di Cuneo, promosso a testimone, in tv fu presentato addirittura come “braccio destro del generale”


Di Nando dalla Chiesa

14 Settembre 2024


Domenica scorsa 7 settembre questo giornale ha pubblicato una lettera inviata nel settembre 1979 da mio padre, il generale dei carabinieri Carlo Alberto dalla Chiesa, all’allora presidente del Consiglio Giulio Andreotti. Partita da un’epoca lontana quella lettera è planata casualmente su di noi giusto nei giorni dell’anniversario del suo assassinio in via Carini a Palermo […]


Fonte 

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2024/09/14/dalla-chiesa-cosa-penso-di-cio-che-scrisse-papa-ad-andreotti/7692718/







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