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I racconti di Enza.
« Pensavano che anche io fossi una surrealista, ma non lo sono mai stata. Ho sempre dipinto la mia realtà, non i miei sogni. »(Frida Kahlo, Time Magazine, "Mexican Autobiography", 27 aprile 1953)
Gli occhi, si dice, sono lo specchio dell’anima.
Lo sguardo di un artista ha sempre una nota misteriosamente magica,perché rivela allo spettatore cio’ che la natura, il paesaggio, i volti, non saprebbero dire se la pittura non esistesse.
E’ sempre stata di poche parole e di molto sorriso, Enza,la sua vocazione di pittrice nemmeno bisbigliata, appariva ogni volta che tornando,vedevamo occhieggiare,quasi chedendo scusa, un tela sul muro.
Ogni quadro racconta una storia:sullo sfondo, la nostra terra e i colori che cambiano con le stagioni,orizzonti di pietra e di erba. È il “ nostro Molise” sognato, sperato,catturato dal pennello nel suo tempo migliore.Più avanti, come venendoci incontro, i personaggi:sono vicini a noi ma, di noi, non si curano, intenti come sono al lavoro dei campi,o semplicemente, assorti nei loro pensieri.L’originale dimensione prospettica ci invita ad entrare nel paesaggio ed è così che diventiamo protagonisti nel racconto mentre si accendono, nella nostra memoria,i ricordi addormentati.
Potremmo avanzare, fino al castello senza trovare brutture, ed ostacoli, passeggiare lungo la “beata riva” del Biferno, chiedere alla giovinetta se la brocca non sia troppo pesante per il suo esile corpo, in un tempo sospeso tra realtà e sogno.
E poi c’è lei, Enza,semplicemente seduta, come fosse un po’ in disparte: nel cesto accanto a lei i fiori del quadro sulla parete.La tavolozza composita è di una spregiudicata naturalezza:all’audacia dei fiori e dei campi-una vera esplosione di colori e di accostamenti originali-risponde la dolcezza dei declivi, dei villagi e dei boschi,come una pioggerellina fosse passata lasciando nell’aria intiepidita e tranquilla, uno spazio pacificato.
Non c’è improvvisazione,soltanto ricerca. E la stessa nostalgia che inevitabilmente fa capolino nella rappresentazione delle cose “sentite”,ha in qualche modo il sapore della speranza, perché il racconto è memoria, ma anche costruzione. Ed è commovente accorgersi che nelle nostre contrade, dove la poesia impallidisce poco a poco una donna gentile, che non vuole definirsi artista, ma lo è, e a pieno titolo,abbia lavorato in silenzio per regalarci, con le sue opere, un’emozione inaspettata.
ANGELA PISCITELLI